Nato in Inghilterra ma cresciuto in Italia, Michael Lukes, astro nascente della musica pop con una dote innata per la composizione, il canto e l’interpretazione, ha iniziato la propria carriera musicale facendo la gavetta vera e propria.
Dopo le prime esperienze con una cover band, successivamente ha collaborato con l’artista Neroloz e ha calcato i palchi musicali con i Freeway, un duo basato su acustica e controcanti.
Il 2017 ha segnato l’inizio del percorso solista di Lukes: da poche settimane ha pubblicato il suo primo singolo “Infiniti noi”, disponibile in tutti i digital stores e piattaforme streaming, che anticipa un EP di prossima uscita. Il video del brano, disponibile da oggi, ha la regia di Gianni Del Popolo ed è prodotto da Casamusica – Giorgio Amendolara e Gianni Del Popolo: le immagini e le ambientazioni sono state pensate e cucite addosso a Michael Lukes che ne diventa il soggetto principale.
“Infiniti noi” è il tuo brano inedito di esordio: come è nato?
Nasce in un periodo di difficoltà che ho attraversato, specialmente nella sfera amorosa. Anche per questo motivo ho messo l’amore al centro della canzone, la forza motrice che riesce a muovere il mondo, anzi, l’universo. Ma il senso è anche un altro: questo brano vuole comunicare un messaggio di speranza a tutte le persone che hanno avuto o hanno difficoltà, siano esse sentimentali, familiari o anche per una delusione legata all’amicizia. Abbiamo bisogno di spensieratezza e il mio intento è proprio quello di provare a trasmetterla attraverso questo brano.
Metà inglese e metà italiano: quali elementi hai mutuato dalle culture musicali di questi paesi?
Mi ritengo fortunato perché sono stato quasi “rapito” dalle due influenze: da bambino ascoltavo molta musica inglese grazie ai miei genitori; poi ho approfondito l’essenza della musica italiana.
In Italia si ha un romanticismo, un modo di trasmettere emozioni molto forte, oltre al testo che deve avere un senso, la cosa principale è trasmettere amore e passione. Dalla cultura inglese, invece, ho appreso la particolarità dei messaggi: si trasmettono in modo preciso e le parole sono molto più dirette.
Personalmente cerco di fondere queste due culture, mettendo insieme emozione e testo. Apprezzo, per esempio, Ed Sheeran perché è uno dei pochi cantautori inglesi odierni che riesce a dare equilibrio a questi due aspetti.
Quali sono i cantanti che ascoltavi da bambino? Qualcuno di questi ti ha ispirato?
La mia passione musicale è nata ascoltando i Beatles, la band leggendaria che mi ha ispirato più di tutti. Da bambino ne ascoltavo tanti: Elton John, i Queen, David Bowie ma anche Robbie Williams, senza dimenticare la storia che hanno fatto Lucio Battisti e Rino Gaetano.
Se potessi scegliere di duettare con un cantante?
In realtà se ci fosse la macchina del tempo sarebbe stato meraviglioso duettare con John Lennon perché usava la musica e i testi come cura. Ognuno ha avuto delle sfide nella vita e la musica, anche per me, rappresenta una vera e propria terapia. Con un artista contemporaneo, invece, scelgo Robbie Williams: lo so, sto sognando, ma il carisma che mette nei suoi live è unico.
Recentemente hai vinto il contest “Promuovi la tua musica” come “Miglior interprete categoria cover” con “The sounds of silence” di Simon & Garfunkel. Come è nata l’idea di riproporre questo brano?
Ho ascoltato e riascoltato il brano riflettendo molto sul messaggio che contiene: quando è stato concepito, negli anni ’60, si viveva un periodo di grande fermento sia artistico sia musicale, ma allo stesso tempo molto cupo. Ho riflettuto su quanto in realtà fosse attuale, a come cioè anche la nostra epoca abbia delle similitudini. Così l’ho riproposto con la volontà di esortare tutti a riflettere su questo grande rumore che ci circonda. E qual è la soluzione? Fare l’opposto: rifugiarsi nel silenzio, che io definisco quasi come un amico. Uno strumento incredibile che ci riporta all’essenza delle cose, alla semplicità e a vivere meglio.
Qual è la differenza tra scrivere e cantare una canzone e interpretare quella di qualcun altro?
Scrivere una canzone ti dà la possibilità di lanciare un messaggio che possa aiutare le persone: portare alla luce un’ispirazione, un’idea che hai in mente dal non tangibile al tangibile è qualcosa di fantastico.
Ma alla fine dei conti scrivere, cantare e interpretare è tutto molto simile perché, in ogni caso, per ogni brano l’importante è trasmettere, sentirlo con il cuore.
La mia più grande speranza è quella di aiutare le persone proprio grazie alla musica, come lei ha fatto e continua a fare con me.
Quali sono i tuoi progetti futuri o per i quali stai già lavorando?
Proprio in questi giorni sto ultimando una nuova creazione, la cover “Working Class hero“, storico brano di Lennon per lanciare un messaggio e invitare ad una riflessione: oggi si crede che per andare avanti, per diventare qualcuno devi per forza essere conformista nel senso culturale, lavorativo e sociale, ad un sistema di potere. Ce lo insegnano da piccolo, te lo inculcano in testa a scuola e infine ti convincono che devi fare carriera, essere qualcuno. Insomma: non fare domande, non dare problemi, non essere un piantagrane e inquadrati nel sistema. Si dimentica, però, che il vero senso della vita è semplicemente essere se stesso, essere libero, senza condizionamenti.
Inoltre sto lavorando al primo EP che conterrà brani in inglese con sound Brit Pop, proprio per rievocare le mie origini e sto terminando le prove per iniziare un tour acustico che partirà da Roma e andrà in giro in tutta Italia.
di Sacha Lunatici (photo credits Marco Tocci)