Domani, lunedì 30 novembre, alzerà il sipario la seconda edizione del Digital Media Fest, il più grande evento in Italia dedicato all’evoluzione digitale a 360°. Una formula interamente rinnovata, tutta digitale, a causa dell’emergenza sanitaria in corso: in streaming saranno visibili i panel e on demand si potranno visionare tutte le opere in concorso che dovevano essere proiettate nelle sale (LEGGI ANCHE: Digital Media Fest, tutto pronto per l’edizione 2020).
Janet De Nardis, ideatrice e direttrice della manifestazione, racconta cosa ci riserva questa nuova edizione.
Janet, cosa dobbiamo aspettarci da questa seconda edizione del Digital Media Fest?
Sicuramente sarà un’edizione “molto” digitale, visto il periodo storico che stiamo vivendo. In un certo senso il Digital Media Fest, mai come quest’anno, rappresenterà lo scopo per cui è nato. Oltre ai vari incontri, con i nostri partner, rappresentanti degli altri festival digitali internazionali, abbiamo organizzato tanti meeting e pitch affinché i talenti emergenti possano avere l’opportunità di viaggiare virtualmente. Anche se sono una grande sostenitrice del mondo del web, non nego che sia importante anche il momento dell’incontro. Oggi cerchiamo di recuperare la distanza attraverso il web, sperando che questa situazione finisca il più presto possibile.
Qual è stata la risposta dei filmmaker?
Mi aspettavo meno iscrizioni visto il momento e invece soprattutto per quanto riguarda la parte italiana c’è stato un grande fermento. Dopo il biennio 2012/13, gli anni di maggiore esplosione dei prodotti in rete che hanno lasciato il segno, il fenomeno era andato un po’ scemando. Quest’anno, invece, sono arrivate delle idee originali e sono sicura che qualche talento lascerà il segno.
Il lockdown ha influenzato le opere che si sono iscritte?
Alcune opere hanno preso come fonte d’ispirazione l’emergenza sanitaria che stiamo visitando, ma non così tante come si potrebbe pensare. Sono contenta di questo perché vuol dire che la creatività dei nostri talenti non si è lasciata ingabbiare.
Il Coronavirus è evidentemente un segnale della natura. Un tema, quello dell’ecologia e della salvaguardia del Pianeta, oggetto del tuo primo corto in veste di regista, ‘Punto di rottura’, che sta ottenendo molti consensi…
Sono molto orgogliosa di questo progetto. Ho sempre avuto la passione della fotografia e della regia però avevo diretto solo spot pubblicitari: dirigere invece un’opera che deve creare emozioni, in modo diverso, ha chiaramente altre difficoltà. Ho lavorato insieme ad un collega, Marco Passiglia, che mi aveva parlato della possibilità di scrivere insieme qualcosa relativo ai temi che ci accomunano come la natura e la responsabilità che abbiamo nei confronti del nostro Pianeta: è nato così ‘Punto di rottura’. Devo dire che quando ero sul set, mentre giravamo le scene in cui i protagonisti vivevano reclusi, avevo un senso di claustrofobia che mi portavo anche a casa, e mai avrei immaginato che avremmo vissuto una situazione simile.
Come stai vivendo questo periodo?
Per me è un momento davvero difficile: il fatto che esista una distanza fisica, diventata anche sociale, è terribile. Siamo animali sociali, abbiamo bisogno di condividere: nella nostra vita costruiamo degli affetti, degli amici, fondamentali per il nostro benessere piscologico. Quando si inizia a perdere questa socialità si va verso uno stato depressivo che porta le persone ad incattivirsi. Mi dispiace sfatare un mito, non credo che usciremo miglori da questa esperienza
Visto il grande successo di “Punto di rottura”, hai altri progetti nel cassetto in veste di regista?
Sì, ci sono delle cose in cantiere. Come si dice: la fame vien mangiando e ho vogli di sperimentare e mettermi ancora alla prova.