Marco Rettani è un produttore discografico, autore e scrittore. Dentro di lui c’è un sognatore che non vuole addormentarsi per restare a scrivere quel mondo fra la realtà e le favole sospeso nella musica.
Non conosce vie di mezzo e i suoi orizzonti sono molto lontani: ha scritto per i più grandi della musica italiana fra cui Laura Pausini, Patty Pravo (con la quale lo lega una profonda amicizia e una lunga collaborazione), Alessandra Amoroso, Noemi, Michele Zarrillo, Nomadi, ma ha scommesso anche su giovani sconosciuti regalando loro l’opportunità di varcare la soglia della discografia italiana. Essere l’artefice di un esordio significa non soltanto capire un talento ma saperlo immaginare, proprio come ha fatto con Matteo Faustini e Francesca Miola, fino a portarli sul palco sognato da ogni artista, quello dell’Ariston. Recentissima dimostrazione della sua attitudine di saper mescolare i generi e le esperienze, è la sua ultima partecipazione al Festival di Sanremo dove è stato autore per Orietta Berti, la quale ha duettato – nella serata dedicata alle cover – con il gruppo Le Deva, sua “creazione” artistica fin dall’esordio dell’apprezzatissimo quartetto femminile.
Scrittore di romanzi e di biografie di artisti, Marco si definisce un visionario sognatore. E sono proprio le sue visioni lo hanno portato ad alta quota nell’attuale panorama musicale italiano, dalla cui vetta riesce sempre a delimitare uno scorcio di cielo per lasciare spazio alla sua poesia romanticamente diretta ed essenziale.
Marco, dov’è il confine fra la bellezza di un progetto e la possibilità di poterlo collocare sul mercato? Quanta influenza può avere la moda di un genere o di un determinato personaggio?
In una mia canzone scritta per Patty Pravo, cantata poi in duetto con Briga, in gara al 69° Festival di Sanremo), forse il pezzo che amo di più, la mia canzone del cuore: “Un po’ come la vita“. Lo slogan che trascina le liriche è esattamente l’oggetto della tua domanda: “Il confine è l’unica cosa che non vedo”. In realtà questo è poi il concentrato della mia filosofia di vita: volgere lo sguardo al di là di ogni limite perché così, come dice la canzone, “(se ci riesci) dimmi dove il cielo va a finire… ricorda di giocare e di portami altrove, io resto qui a capire come illuminarmi il cuore”. Forse il concetto che sto cercando di esprimere sembra un po’ complicato ma in realtà è di una semplicità disarmante. Se affronti la vita come un gioco tutto diventa possibile e l’irreale diventa reale, perché un bambino che gioca passa la sua giornata in ogni luogo: sulla luna, sulla nave dei pirati, nel mondo dei dinosauri, tra le braccia dei genitori, ovunque… e la “bellezza” si fonde con il risultato che stai cercando. Poi, per essere più concreti, purtroppo molto spesso il mercato – e qui torniamo alla tua domanda – è da un’altra parte: alla fine, però, poco importa perché il mercato cambia sempre mentre la “bellezza”, invece, non passa mai di moda. Se poi vogliamo parlare di “lavoro”, in questo caso va detto che per quanti studi e analisi puoi immaginare ed impostare, la componente casualità e fortuna è sempre al primo posto; perché quando lavori nell’arte e cerchi il successo commerciale devi essere in anticipo sui tempi ma senza esagerare, diciamo non troppo in anticipo, perché se sei contemporaneo sei fuori, ma se sei troppo avanti te lo riconosceranno tra qualche tempo, ma ora non serve e poi non servirà ! Quindi, visto che non si può in qualche modo imbrigliare l’arte in una analisi di studio che garantisca un’ipotesi di successo commerciale, è meglio affidarsi all’istinto.
Qual è l’impulso che scatena la tua fantasia artistica?
Non so come succede agli altri io fantastico tutto il giorno: vivo quasi sempre in un universo parallelo e quindi tutto, anche questa intervista, è fonte di ispirazione, di riflessione di analisi, di pensiero positivo che arricchisce i gesti di una quotidianità che altrimenti sarebbe troppo banale. Tutto merita di essere osservato sotto l’aspetto creativo, ma bisogna essere capaci di farlo con la giusta leggerezza.
Essere uno scrittore di romanzi e biografie ti facilita nel ruolo di autore musicale o ti frena?
Sembrano due cose vicine ma in realtà sono “universi paralleli” che hanno in comune solo le parole. Il paragone può essere quello del mare con un ruscello di montagna: quando scrivi un libro che racconta una storia stai navigando in un oceano di parole infinito, devi condurre il lettore dentro alla vicenda che stai narrando e, per fare questo, lo ubriachi di dettagli che lo porteranno lì con te accanto ai protagonisti. Una canzone, invece, deve compiere il miracolo opposto: deve trovare il modo di raccontarti qualcosa in poche righe, tra strofe e ritornelli stretti nelle rigide regole della metrica musicale e dalla necessità che il tutto faccia rima o almeno sembri come minimo assonante, muovendosi appunto tra le strette e tortuose rive di un ruscello di montagna.
Questo per dire che quando mi capita di fare una cosa, per esempio scrivere un romanzo, difficilmente riesco a passare, nel breve tempo, al lavoro sul testo di una canzone: ho bisogno di staccare e riformulare la modalità della scrittura. Quindi quando scrivo libri non mi occupo di canzoni e viceversa.
Che differenza c’è fra il lavorare con dei big o con dei giovani?
Nessuna. Gli artisti, quelli con il TALENTO in maiuscolo, sono tutti big, e i big restano sempre bambini con i loro capricci e le loro immense paure e insicurezze che non abbandonano mai. Nemmeno dopo 50 anni di carriera e di successo.
Che cosa deve fare un giovane che sogna di lasciare un segno?
È banale dirlo ma deve fare quello che hanno fatto tutti: credere sempre che questo segno si possa veramente lasciare. Devi “crederci sempre” e non abbassare mai l’intensità, anche quando le porte si chiudono in faccia a ripetizione e tutto sembra perduto. Non devi mollare mai perché sono gli altri che si sbagliano: tu sei un grande artista e prima o poi qualcuno comincerà a convincersene: poi la componente casualità e fortuna in questo campo, come sappiamo, gioca sempre la carta più importante!