La famiglia, luogo in cui ci si dovrebbe sentire unicamente protetti e al sicuro, sta diventando oramai sempre più spesso teatro dei più efferati delitti, ed a farne le spese continuano ad essere principalmente i soggetti più deboli, ossia donne e bambini.
Partendo da questa premessa, oggi affrontiamo una tematica legata agli aspetti penali che possono investire la famiglia, analizzando il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi previsto dall’art. 572 del codice penale. Siamo di fronte ad un reato purtroppo ancora molto diffuso e che non smette di generare atroci conseguenze nel nostro Paese.
In cosa consiste il reato di maltrattamenti in famiglia?
Si tratta di un reato che punisce chi maltratta una persona della famiglia o un convivente, mediante abusi fisici e/o psicologici ripetuti nel tempo. Quindi rientrano in questo tipo di odioso reato non solo le vessazioni fisiche e le percosse reiterate, ma anche tutto ciò che può essere considerato un sopruso psicologico (ad es. il coniuge che continui a minare l’autostima dell’altro attraverso ingiurie) tale da produrre nella vittima un’apprezzabile sofferenza fisica o morale.
In poche parole qualsiasi tipo di abuso, se ripetuto nel tempo, è idoneo a configurare questo tipo di delitto; attenzione però: una sola condotta non basta per potersi parlare di maltrattamenti in famiglia essendo un reato considerato abituale.
Esempio pratico : il genitore che maltratta il figlio mediante percosse in preda ad un unico e occasionale stato d’ira, può essere incriminato per lesioni o percosse ma non per maltrattamenti! Presupposto necessario perchè si configuri il reato di maltrattamenti in famiglia è quindi l’abitualità, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ( come ad es. atti di infedeltà o di umiliazione generica) ovvero non perseguibili d’ufficio (ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela di parte), i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; per cui il delitto si perfeziona se si realizza un minimo di tali condotte (delittuose o meno) collegate da un nesso di abitualità.
La legge considera tale reato particolarmente grave, tanto da farlo rientrare nel novero dei delitti perseguibili d’ufficio (per i quali è sufficiente che l’autorità giudiziaria, per potersi attivare a tutela della vittima, venga a conoscenza del reato direttamente o anche tramite terzi, non rilevando in questo caso la manifestazione della volontà della vittima di voler procedere attraverso la querela), prevedendo per questo la reclusione da tre a sette anni; pena che può arrivare fino al tetto massimo di ventiquattro anni in caso di morte della persona maltrattata.
Chi ha diritto al risarcimento dei danni e come si avanza la richiesta?
E’ previsto, nello specifico, che sia considerata vittima del reato in questione una persona della famiglia o comunque convivente con l’autore dei maltrattamenti, così come anche un soggetto sottoposto alla sua autorità o a lui affidato per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o infine per l’esercizio di una professione o di un’arte: chiunque rientri in una di queste categorie può senz’altro chiedere il risarcimento dei danni (patrimoniali e morali) subìti a seguito delle vessazioni e dei maltrattamenti.
Per farlo basterà che la vittima del reato si costituisca parte civile nel procedimento penale attivato contro l’autore del delitto.
Cosa si intende per costituzione di parte civile?
In buona sostanza, la vittima che si costituisce parte civile nel processo contro il suo aguzzino, non fa altro che esercitare l’azione civile all’interno del processo penale, chiedendo direttamente al giudice penale (ed evitando quindi di attivare un parallelo e facoltativo procedimento in sede civile) la liquidazione del risarcimento del danno.
In questo modo si accorciano tempi e costi anche per la vittima, dal momento che può evitare di attivare due procedimenti distinti, ossia : uno civile finalizzato a condannare il colpevole al pagamento dei danni in favore della vittima; l’altro penale volto ad infliggere una pena nei confronti dell’autore del reato, con la diretta conseguenza quindi che la persona offesa potrà scegliere di accedere direttamente nel processo penale intentato dallo Stato nei confronti del reo e chiedere il risarcimento dei danni.
Per far ciò è però necessaria l’assistenza di un avvocato, al quale la vittima dovrà conferire una procura speciale, per mezzo della quale il difensore della parte depositerà un apposito atto di costituzione di parte civile; attraverso questa procedura la vittima diventerà a tutti gli effetti una parte del processo e sarà legittimata a richiedere il risarcimento.
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