Francesco Napolano, cantante e musicista, con Suoni In-Versi idealmente costruisce un’arca, con il compito di traghettare musica nel futuro e con il progetto e lo spettacolo, Anime Prave, ci invita al viaggio. L’equipaggio è formato dal pianoforte e l’estro di Leonardo Platania (pianista arrangiatore romano della Saint Louis), il violino, nelle corde meravigliose di Svitlana Solodka (ucraina dal 2018 in Italia, violinista in orchestre internazionali di classica e molte volte primo violino) e il clarinetto, nell’esperienza di Yvonne Fisher (compositrice americana, da tantissimi anni in Italia, insegnante della prestigiosa scuola di musica del Testaccio di Roma).
Perché salvare la musica? Ci sono canzoni che hanno scritto pagine importanti della nostra storia, brani affascinanti, che rischiano di essere dimenticati. Oggi, spesso, la parola è privata della sua naturale musicalità, piegata a nuovi ritmi. Il mondo va avanti, ma Francesco e i suoi compagni di viaggio ci invitano a riascoltare musica parole e versi, che possono piacere a chi li conosce, a chi li porta nel cuore ma anche a chi li ascolta per la prima volta.
Francesco, come nasce l’idea di questo progetto?
È nato dalla mia grande passione per la musica e in particolar modo di quella che ascoltavo grazie ai vinili di mia nonna. Un’idea che ho coccolato a lungo, immaginando di “vestire” di un abito contemporaneo, canzoni che fanno parte della storia della musica. Per questo ho sempre pensato che il quartetto fosse ideale a rendere in chiave acustica e minimale, le parti che in origine erano orchestrali. Un sogno durato vent’anni per il quale ho dovuto crescere e maturare e che finalmente, ha preso forma.Il viaggio che vi invito a fare è nel fiume dell’emozione, dove ogni porto è una nuova scoperta.
Perché un quartetto?
Quattro era il numero perfetto per presentarci in teatro. Qualcosa che avevoimmaginato da subito: un quartetto acustico voce, piano, violino e clarinetto, che sono gli strumenti principi nell’orchestrazione dei brani che avevo in mente di fare. Il primo che ha accettato di salire sulla mia improbabile Arca, è stato il pianista, Leonardo Platania. Poi Yvonne Fish compositrice afroamericana e a completare l’alchimia, Svitlana Solodka violinista russo ucraina. Yvonne è una musicista incredibile, che non si esprime a parole ma solo con la musica. Pensa che quando le proposi di unirsi a noi, dopo aver ascoltato tutto, senza aggiungere altro, ha detto … “Quando si comincia?”.
Anche nella vita mescoli teatro e musica?
L’ho sempre fatto, sono espressioni dell’arte che mi appartengono. Mi capita spesso di fare piccole parti e comparsate al cinema, ma mentre la musica mi accompagna da sempre, il teatro è stato una sorpresa. Ultimamente ho fatto una piccola parte anche nel film appena uscito con Sergio Rubini e sui set, spesso ci sono anche le mie “bambine”: le mie auto d’epoca. L’ultimo set è stato Gucci, ma sono state protagoniste di moltissimi film e serie TV.
Sei uno “strano” personaggio, che ama salvaguardare il passato per portarlo nel futuro e non è inusuale incontrarti per le strade di Roma alla guida di un’auto d’epoca. E’ così?
Sono un collezionista di vinili, di stereo anni ’60 e auto d’epoca. Non sono solo ricordo per me, ma una vera passione. Appartengono al mio mondo, mi rende felice guidarle e mi diverte. Una passione che è diventata, come ho detto, un lavoro. In giro per Roma, guido la 126 che è meglio di una smart, la Fura Seat che ha anche l’impianto GPL, con la quale giro ovunque, poi per fare la spesa e quando andiamo a suonare, la Panorama 127 station vagon, che è ottima anche per i traslochi, pensa che a Salerno ho portato una cucina Ikea comprata a Roma! La berlina FIAT 128 che è molto richiesta per i set anni ’70 ed è identica a quella che guidava mio padre quando sono nato io, la Fiat 600 del ’66 che uso a Salerno, poi in Cilento ho anche una Fiat Uno, più una nuova per accontentare mia mamma che non vuole che esca con le “scassone” (come le chiama lei) su cui non sale! Sono una soddisfazione, mi piacciono da matti. Ho sempre avuto la passione di collezionare anche modellini d’auto e da piccolo se non trovavo quello che mi piaceva, me lo facevo di cartone con dovizia di particolari e magari anche con i sedili in velluto. Quando compravo i vinili, mi registravo la musica sui cd per sentirli in auto e mi facevo anche le cover, riproducendole alla perfezione.
Nel panorama musicale italiano, dove si colloca il vostro progetto?
Nell’ambito di una canzone-teatro per cui ci hanno dato un’etichetta, “inspiration-pop”, che ci piace. Un incontro tra versi e parole, musica e recitazione che si rivolge a tutti, agli amanti del teatro, dello spettacolo, della musica.
Con quali brani o generi, potrà contaminarsi?
L’idea è di continuare con brani di De André o Branduardi. Certamente brani di cantastorie, che con i nostri arrangiamenti potranno essere valorizzati anche con momenti recitativi. Non siamo da pub o da stadi, ma teatri, club, o contest cantautorali che sono la nostra perfetta collocazione.
Dove sta andando la musica oggi?
Secondo noi sta andando verso un filone leggero, che forse viene un po’ dettato dal mercato, dai talent. Una volta c’era la canzone leggera estiva, che si esauriva naturalmente, dopo pochi mesi. Oggi sono i personaggi che finiscono come le canzoni. Non c’è più il gusto per assaporare la musica, ma è roba senza troppo sapore, un po’ insipido. A livello di testi, c’è un impoverimento, siamo tornati indietro, banali a partire dai titoli.
Suoni In-Versi è libertà?
Sì, perché è espressività allo stato puro. Liberi di essere esattamente quello che siamo. In- Versi, controtendenza nel vero senso della parola. Noi siamo pazienti, aspettiamo di essere ascoltati. La gente che può interessarsi a noi c’è. Siamo una trattoria dove si cucinano piatti semplici, ma fatti con cura, col tempo giusto. Stando a tavola il tempo che ci vuole godendo del tempo insieme, non siamo un Fast food. Suoni In-Versi nasce pensando a quello che volevamo fare, coincide con la nostra indole. Aggiungendo poesie che erano inerenti ai brani che volevamo cantare, Suoni In-Versi era l’identità perfetta: un nome speculare che con un gioco di parole, parla di come non siano solo suoni tradotti in versi ma anche versi tradotti in musica.
(Foto ©Domenico Tota)