Spesso si sottolinea come la lettura sia un’ottima medicina per aprirsi alla conoscenza, ma anche solo per mettere da parte le ansie e dedicarsi la possibilità di viaggiare con la fantasia. Francesca Di Gangi con il suo libro, La Scrittura Riparativa, ci mostra come la scrittura possa “salvarci la vita”, riparando il proprio passato.
Francesca, dal suo rapporto con la scrittura e le sperimentazioni fatte su di sé, ha ideato il metodo della Scrittura Riparativa. Il metodo di Francesca nasce uno studio approfondito e il suo libro è davvero alla portata di tutti: una scrittura semplice che non ha bisogno di competenze, si occupa delle emozioni che, chi scrive, mette in campo. La Scrittura Riparativa è per chi ha desiderio di prendersi cura di sé, per chi vuole indagare il proprio passato per curarlo, per buttare fuori quello che ancora fa male.
Si rivolge a chi ha un rimpianto, chi ha un ricordo da mettere a posto, chi ha emozioni da esprimere e anche a chi le ha soffocate. Aumenta la fiducia nella vita e l’autostima, l’amore per sé e per gli altri. Ognuno di noi ha bisogno di credere nel futuro e vivere bene il presente. Lei ha scelto di prendersi cura delle persone anche con laboratori di scrittura dove si elaborano le emozioni, dove si impara a volersi bene a prendersi cura di noi stessi. Da questi laboratori, nella sperimentazione fatta su di sé e con gli altri, è nato questo libro ad aprire la strada ad un progetto che è “vivo” e cresce grazie alla condivisione.
Francesca oggi ce lo racconta.
Siciliana d’origine, risiedi a Torino da diversi anni. Sei una counselor italiana di formazione rogersiana e, da oltre venticinque anni, affianchi le persone nel prendere confidenza con le proprie emozioni e favorire il loro stare bene con sé stesse e nelle relazioni. Ci racconti come è nato questo rapporto, così stretto e forte, con la scrittura?
Il mio rapporto con la scrittura nasce da ragazzina, per un desiderio di rivalsa. Negli anni, poi, scrivere mi ha salvato la vita, mi ha dato la motivazione per alzarmi dal letto la mattina. Mi dava una prospettiva, mi incitava. Pur essendo già adulta, continuavo ad addebitare ai miei la responsabilità di avermi impedito di volare. Mi ero ritagliata il ruolo di vittima e mi ci ero crogiolata, non comprendendo ancora che dovessi prendermi la responsabilità della mia vita. Con la Scrittura Riparativa, ho riparato il mio passato.
Come è nata questa idea?
Mi sono chiesta che cosa mi piacesse fare, cosa mi rendesse felice. Mi sono risposta che volevo stare con adulti e scrivere e da lì, l’idea. Quando poi ho iniziato a insegnare la scrittura del memoir all’Università Popolare di Torino, mi sono resa conto che io stessa non ne avevo ancora scritto uno. È stato così che ho iniziato a scriverlo. Ci sono voluti due anni di lacrime, sudore, sangue e nove stesure, prima che mi rendessi conto che, poco per volta, scrivendo avevo guarito il mio passato. La Scrittura Riparativa è nata così: da un’idea e un bisogno. Ho cominciato a organizzare i laboratori, dapprima sperimentando per capire se funzionassero. Le persone stavano meglio, confermandomi che il metodo funzionava e questo mi ha incoraggiata…
Che tipo di scrittura proponi come “riparativa”?
La scrittura che propongo è una scrittura che resta nel silenzio. A differenza della scrittura narrativa, è una scrittura che non nasce per farsi leggere, perché la sua azione curativa e riparativa è già nel processo stesso dello scrivere e far leggere quanto si è scritto non aggiungerebbe niente, anzi limiterebbe la potenza della scrittura. La Scrittura Riparativa è una scrittura che raggiunge il proprio obiettivo rimanendo nel segreto. È una scrittura a cui ci avviciniamo per prenderci cura di noi stessi, che per funzionare ha bisogno di essere protetta dallo sguardo di altri e di rimanere nel silenzio delle pagine su cui è depositata. Che ci fa rivivere emozioni e ci mette in grado di distaccarcene.
La Scrittura Riparativa è un progetto al quale hai lavorato con dedizione e che ora è finalmente pubblicato. Che sensazione provi?
Devo dire che ho preso un po’ di distacco, l’ho lanciato nel mondo e mi arrivano belle sensazioni. Personalmente provo un senso di distacco forse proprio come quando si partorisce un figlio: l’ho sognato, pensato, ci ho lavorato, accudito. Oggi è giusto che vada. Provo sensazioni strane a volte, pensando a chi lo fa suo, quasi una sorta di gelosia “buona”. La ragione per cui è stato scritto, è quello di essere donato, per essere messo in comune. Doveva essere uno strumento senza avere l’attitudine di insegnare. Ma la cosa bella è che mi ha dato la voglia di mettermi a scrivere il secondo. Questa prima esperienza, anche se non è il mio primo libro in assoluto, è stata fondamentale e formativa. La Scrittura Riparativa l’ho buttata nel mondo con l’inconsapevolezza della prima volta. Adesso la visione è diversa forse più consapevole e in testa, ce ne sono tre che agitano i miei pensieri…
Cosa dobbiamo aspettarci? I prossimi tre – è una promessa – saranno il seguito?
Saranno un’evoluzione de La Scrittura Riparativa, il mio metodo non è esaurito, ma continua ad arricchirsi di nuove esperienze attraverso i laboratori che sono importantissimi da questo punto di vista; è un organismo vivo che sta crescendo come del resto anch’io come persona. Chi sperimenta il metodo mi aiuta a capire cosa e in che modo sia perfettibile o debba evolversi. Questa è la vera forza, inesauribile, della scrittura.
Hai sottolineato l’importanza dei laboratori: ci racconti qualcosa di più a riguardo?
Laboratori e non corsi, perché io non insegno nulla. Amo le persone che lavorano con me, mi prendo cura di loro, senza soffocarle con la mia cura. Sto molto attenta durante i laboratori che le parole non feriscano nessuno. Si crea un clima di stima, fiducia e accoglienza dell’altro che per me è fondamentale. Per esperienza mi coinvolgo, tenendo, però, la debita distanza e poi lascio andare quando termina il percorso. I laboratori sono generalmente al massimo di dodici persone che devo poter guardare negli occhi, cercando di capire cosa succede, cosa si agita dentro di loro. Nei laboratori non si legge mai quello che si scrive, non si ha bisogno di raccontare ad estranei dove sta il problema, perché chi ci sta dentro, sa. Si parla di emozioni, non di fatti, quelli sono privati. Comunicazione ed emozioni in circolo. Io lavoro per l’autonomia delle persone e dietro c’è un grande lavoro etico. Mi è stato chiesto spesso di pensare a video corsi “confezionati”, ma non lo farò mai. Non esistono situazioni “a taglia unica”, ma un abito sartoriale confezionato su misura con cura ed attenzione che, come ho detto, si prende cura della persona, che, come tale, non può essere uguale ad altri. I laboratori, oggi ovviamente non in presenza, funzionano molto bene, con persone da tutta Italia, ma anche dalla Germania, dalla Svezia; camminano e funzionano forse anche meglio potendoli fare a distanza, in questo modo infatti, per molti, è più semplice partecipare.
(photo credit Matteo Montaldo)