Rabia è un film drammatico diretto dalla regista Mareike Engelhardt. Jessica, una diciannovenne francese, parte per la Siria per sfuggire a una vita che non sente sua. Arrivata a Raqqa, si stabilisce in una casa abitata solo da donne, destinate a diventare mogli dei combattenti. Il futuro roseo che le era stato promesso diventa improvvisamente irraggiungibile, poiché viene fatta prigioniera dalla despota Madame, la padrona di casa.
Ho riscontrato una certa somiglianza tematica tra questo film e una serie TV che ho visto proprio quest’anno, Il Racconto dell’Ancella. Entrambe le opere portano alla luce problematiche radicate nella nostra società; tuttavia, nel primo caso si parla di vita reale, mentre nel secondo di un mondo distopico. Ciò che rende inquietante questo parallelismo è la consapevolezza che ciò che viene presentato come distopia è, purtroppo, la realtà quotidiana per troppe donne nel mondo. Noi viviamo in quella che dovrebbe essere una distopia.
La brutalità di alcuni momenti, difficili da metabolizzare, mi ha spinto a distogliere lo sguardo. Il personaggio di Jessica è senza dubbio complesso: scappa da una vita priva di stimoli, abbandona il padre, anela alla libertà… Ma tutti i suoi sogni vengono infranti solo perché è una donna, e in quanto tale sembra avere un unico destino: soddisfare gli impulsi sessuali di un marito che non ha scelto e procreare. La sua tenacia e determinazione trasformano la narrazione in un avvincente crescendo emotivo.
Ho apprezzato il fatto che, verso la fine, siano state inserite immagini reali, riprese dal vivo di una terra devastata dalla guerra. Questo ha reso il messaggio del film ancora più tangibile.
La recensione è a cura di Giada Amodio, volontaria della redazione di Alice nella Città.