La musica intramontabile di Anthony Phillips risuona nei pezzi del nuovo doppio cd, “Strings of Light“, album che il talentuoso chitarrista britannico ha pubblicato lo scorso 25 ottobre per la gioia dei suoi numerossimi ammiratori sparsi per il mondo.
Il “maestro della 12 corde”, ex membro e fondatore dei mitici Genesis, con “Strings of Light” ha fatto davvero centro. L’estratto “Diamond Meadows“, infatti, presente in rete con un lanciatissimo videoclip, si è già piazzato bene nella classifica delle Classical New Releases di Spotify dimostrando quanto il lavoro di Phillips sia stato apprezzato. D’altronde “Strings of Light”, che arriva a sette anni di distanza dal precedente cd “Private Parts & Pieces XI: City of Dreams”, è un album strumentale di rara bellezza e delicatezza: tutte i brani mettono in luce la bravura e la perizia dell’apprezzato chitarrista britannico.
Zoom Magazine ha incontrato Anthony Phillips per farci raccontare qualcosa di più della realizzazione di “Strings of Light”.
Anthony, com è nata l’idea di realizzare Strings of Light?
Era da parecchio tempo che pensavo di fare un nuovo disco ma ero sempre impegnato in svariate altre cose tra le quali fare musica per la televisione, poi in particolare le re-releases dei miei album a cura della Cherry Red e questo ha significato anche dover trovare per ogni cd delle bonus tracks che potessero funzionare con quei lavori. E’ stata probabilmente una buona coincidenza il fatto che, proprio quando eravamo arrivati alla fine dei lavori per la più recente re-releases, abbiamo iniziato a registrare il nuovo album. Prima, lo ripeto, c’era troppo altro lavoro ed era difficile concentrarsi su della nuova musica. Mettiamoci anche che per un certo periodo di tempo non avevo più suonato la chitarra, almeno ad un certo livello, non mi ero esercitato, quindi ero un po’ fuori allenamento. Ho ripreso pian piano appena ho potuto e diciamo che ad un certo punto le stelle si sono allineate per realizzare Strings of Light.
Hai detto che ti sei esercitato tanto per suonare questi pezzi: quanto tempo ci hai messo, invece, per scrivere una canzone?
E’ un dato che varia: le più semplici le ho composte molto velocemente, è stata una faccenda di due o tre ore, poi abbiamo dovuto arrangiarle con tutte le loro figurazioni. In altri casi il percorso è stato abbastanza lungo con tante ‘sections’ per cercare di mettere tutti gli schizzi. Quando scrivi nuovi pezzi capita che un giorno li suoni e pensi che vadano bene, poi li senti il giorno dopo e decidi che invece potrebbero essere meglio, quindi le risuoni e continui a tenerti in ballo in questo modo anche per giorni, quindi il tempo è variabile. Per scrivere altri pezzi ci sono volute anche un paio di settimane: per l’ultimo brano in scaletta “Life Story” ci ho impiegato perlomeno sei o nove mesi. Avevo quasi abbandonato l’idea di scriverlo, non riuscivo a farlo bene, non ero soddisfatto. Con pezzi lunghi come questo devi faticare per dargli una “forma”, pensavo “Life Story” non fosse in sintonia con le altre canzoni così ho cercato di farla muovere, scorrere bene. D’altro canto una canzone non deve essere troppo costruita. Insomma, è stata una mezza sfida, non pensavo che ce l’avrei fatta.
Una delle canzoni del cd si intitola “Grand Tour”, lo stesso titolo usato dalla prog band Big Big Train per il loro più recente album: considerando che i membri della formazione sono tuoi fan dichiarati la cosa ha un po’ sorpreso. Tu però hai avuto l’idea del titolo per primo, giusto?
Sì, è stata una coincidenza. In quel brano ho usato una difficile tecnica con la chitarra a sedici corde ed è già abbastanza complicato di per sé suonare quello strumento, il titolo è venuto dopo la registrazione. D’altronde è stato così anche per tutti gli altri pezzi, prima li ho scritti e li ho suonati e poi ho dovuto dargli un titolo. In questo caso ho pensato alla parola ‘Grand’ perché imponente era la musica di questo pezzo, e allora mi sono venuti in mente quei grandi giri turistici che le persone agiate facevano nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo per l’Europa tra Germania, Italia e via dicendo. E’ stata una delle prime che ho registrato con questo “grand instrument” che è la chitarra a sedici corde. In seguito ho scoperto che anche i miei amici Big Big Train avevano usato lo stesso titolo. Diciamo però che il loro tour sarà stato senza’altro più veloce perché loro sono andati in treno e non in bus! (ride, ndr).
Strings of Light mostra in pieno il tuo talento e la tua preparazione musicale. Tu hai fatto studi formali di musica, cosa non molto frequente considerando che il tuo background è nell’ambiente rock. Pensi che questi studi ti abbiamo regalato una marcia in più?
E’ molto difficile dirlo. Nel caso degli album orchestrali che ho realizzato precedentemente direi di sì perché ho dovuto produrre musica con un’orchestra ma se parliamo di questo album allora sono meno sicuro. Per quanto riguarda la chitarra a dodici corde, ad esempio, avere una preparazione classica non fa molto la differenza. La chitarra a 12 corde è uno strumento che ho imparato a suonare prima dei miei studi di musica, è interessante però il fatto che poi io abbia imparato a suonarla con la mano destra. Tracks come “Shoreline” o “Winter Lights” sono state scritte nel 1971 e all’epoca non avevo ancora completato i miei studi musicali quindi ripeto, non penso che i pezzi a dodici corde presenti in questo cd sarebbero stati poi molto diversi se non avessi studiato musica. Ad esempio Steve Hackett è un chitarrista bravissimo e lui non ha fatto studi formali. E’ difficile dare un giudizio dal momento che quello del classico e il rock sono mondi paralleli. Diciamo che se non avessi studiato musica classica alcuni pezzi non avrei potuto scriverli… ma soltanto alcuni.
Il 15 e il 16 novembre i Rocking Horse suoneranno i tuoi album solisti insieme ad una selezione tratta dall’album di Mike Rutherford “Smallcreep’s Day”. Deve essere lusinghiero il fatto che ci sia un evento musicale basato sulla tua musica: sei curioso di sentire questo show?
Lo sono… e non lo sono. Da una parte mi sento anche in difficolta perché so che la band che interpreterà il mio repertorio, i Rocking Horse, sono davvero bravi. Li ho sentiti suonare delle cose in studio e devo dire che se sono davvero in gamba. Non ho dubbi che loro suoneranno le mie canzoni molto bene ma se mi piacerà o no riascoltare la musica che io stesso ho scritto questa è un’altra faccenda. Non sono sicuro perché non ho mai fatto questa esperienza prima. Qualcuno ha suonato magari un pezzo o due dei miei ma non il mio materiale in blocco come in questo caso. Quindi credo che sarà un’esperienza abbastanza particolare: non so cosa questo gruppo riuscirà a tirare fuori da quelle canzoni ma sicuramente la loro performance sarà eccellente.