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Barbara Di Giacinto
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Barbara Di Giacinto: “La mia vita tra medicina, Olimpiadi e famiglia”

Donna, moglie, madre, medico dello sport, direttore sanitario dell’Istituto di Medicina dello Sport di Sport e Salute, Team Medical Liasoner Officer per gli europei di calcio EURO 2020. Determinata, volitiva, in equilibrio tra ambizione, dolcezza e umiltà. Lei è Barbara Di Giacinto, classe 1976, un curriculum fitto di esperienze sul campo, ambiziosa quanto basta per raggiungere una posizione fin qui appannaggio di uomini. Svolge la professione con spirito di servizio ed in totale armonia con le colleghe ed i colleghi di prima e di sempre. Ha pubblicato diversi studi scientifici di fama internazionale sugli adattamenti cardiologici indotti dall’attività sportiva in atleti olimpici e paralimpici.

Essere medico è una missione ed una passione, chi esercita la sua professione è spesso a contatto con la sofferenza, la paura. Come affronta i pazienti nel quotidiano? Dall’Istituto passano ogni giorno molti atleti di fama nazionale ed internazionale, ma anche tante persone comuni. Qual è il suo approccio?

Ho la fortuna di lavorare da molti anni presso l’Istituto di Medicina dello Sport di Roma e ho sempre visitato atleti olimpici e paralimpici, da quando avevo 23 anni, per lo screening, prima delle più importanti competizioni internazionali (Olimpiadi, Paralimpiadi, Giochi del Mediterraneo, ecc.). Da alcuni anni, però, l’Istituto ha aperto alla popolazione generale, mettendo a disposizione di tutti la nostra esperienza. Questo connubio tra atleti d’élite, atleti societari e sedentari che devono eseguire visite mediche per patologie, è il mio habitat naturale e rispecchia il mio modo di vedere la medicina dello sport: promuovere l’attività fisica a 360°. Mi divido tra eseguire valutazioni dal punto di vista cardiologico agli atleti di alto livello, in modo da scorgere anche piccoli problemi nascosti; effettuare visite medico-sportive a giovani che praticano sport a livello societario e vederli felici di essere idonei all’attività (perché in questo modo si promuove il corretto stile di vita); prescrivere attività fisica in soggetti con diversi tipi di cardiopatia (perché in Istituto seguiamo anche la riabilitazione cardiologica, fondamentale per far tornare chi è stato male ad uno stile di vita più attivo, con i conseguenti aspetti benefici non solo fisici ma anche psicologici). Il mio approccio a tutte queste differenti tipologie di persone è sempre lo stesso: il sorriso, la pazienza, la professionalità e la simpatia.

E’ diventata da poco direttore sanitario dell’Istituto di Medicina dello Sport, uno di quei ruoli che di solito ricoprono gli uomini. Ci vuole costanza, determinazione, capacità e appoggio familiare. Qual è la cosa più bella che le hanno detto i suoi figli?

Mio figlio Lorenzo ha 5 anni e ancora non comprende appieno il mio lavoro: sa che sono un dottore. Mia figlia Giulia di 9 anni mi ha dato grande soddisfazione e mi dà sempre grande appoggio. Qualche tempo fa mi ha detto: “Mamma, sono molto orgogliosa di te”. Inutile dire che mi sono commossa. Le maestre e le mamme delle sue amiche mi dicono che parla spesso di me e del mio lavoro.

Moglie e mamma: come fa a conciliare la vita privata con il lavoro?

Effettivamente è difficile perché generalmente vedo i miei figli la mattina prima di portarli a scuola e la sera per la cena e poi accompagnarli a dormire. Inoltre, ormai hanno un’età per cui quando ci vedono vogliono chiacchierare di tutto e così, mio marito ed io non riusciamo mai a raccontarci com’è andata la giornata. Per fortuna ci sono i weekend per recuperare e giocare con loro! Mio marito ed io siamo molto complici: anche lui lavora tanto e ama il suo lavoro e quindi capisce i miei tempi e le mie scelte, mi aiuta e mi sostiene, anche se soffre la mia mancanza quando parto per lavoro. Ma c’è un altro aspetto fondamentale senza il quale non riuscirei a fare tutto quello che faccio: sono ancora anche molto FIGLIA. I miei genitori seguono in tutto i miei figli, li prendono il pomeriggio a scuola e li portano a fare sport o a catechismo e li coadiuvano nei compiti giornalieri. Poi il fine settimana me ne occupo io. Ho sempre detto che mia madre è la mia forza: con lei mi confido e piango quando ho bisogno di sfogarmi.

Tre valori imprescindibili che sta insegnando ai suoi figli?

Ce n’è uno che vale per tre: il rispetto. Per sé stessi, per le persone e per il modo che li circonda. Rispetto per sé stessi: cerco di far capire ai miei figli che si devono sentire liberi di esprimere le loro opinioni e che sono liberi di scegliere e che per abbracciare al meglio questa libertà è necessaria la conoscenza che si acquisisce studiando. Rispetto per le persone: cerco di far capire loro che la gentilezza nei confronti degli altri è una cosa importantissima. Spero che diventino delle persone che abbiano a cuore le esigenze di chi li circonda e che non mettano mai in difficoltà chi sta loro di fronte (che è la caratteristica che più mi ha attratto del loro papà). Rispetto per il mondo: mio marito è un ingegnere e si occupa di ambiente e stiamo cercando di far capire ai nostri figli quanto sia importante anche il più piccolo contributo di ognuno di noi per contrastare i danni che l’inquinamento sta creando al nostro bel mondo. Infatti, mia figlia sta già diventando una piccola attivista.

23 luglio 2021: occhi puntati sulle Olimpiadi di Tokyo. Lei accompagnerà la nazionale italiana alle olimpiadi nel ruolo di medico della delegazione CONI. Rappresentate di certo una eccellenza italiana. Come si sta preparando lo staff medico? Che emozione rappresenta questa Olimpiade in particolare?

Per questa Olimpiade ci stiamo preparando come mai era successo. Per ogni evento di questa portata la preparazione è rivolta ad ogni dettaglio, e quindi nel nostro campo cerchiamo di verificare, durante lo screening che fanno gli atleti presso l’Istituto prima di partire, ogni piccolo segnale che ci possa far pensare ad un problema nascosto. Ma quest’anno, a causa delle contromisure per il COVID-19, oltre ai comuni aspetti clinici, dobbiamo pensare a ridurre al minimo l’eventuale rischio di contagio e siamo sommersi dalla burocrazia. Inoltre ci accompagna un forte senso di appartenenza al nostro Paese e orgoglio della nostra bandiera.

Il 2020 è stato l’anno della pandemia, che ha fermato tutto e messo in discussione tutto. Gli atleti hanno patito particolarmente questo stato di sospensione. Chiedere ad uno sportivo di non praticare l’attività è una faccenda complessa. Ora c’è grande attesa. Come stanno vivendo gli atleti la preparazione per la prestazione alle olimpiadi?

Gli atleti ormai sono pronti, ma l’ultimo anno per loro non è stato facile: nella primavera dello scorso anno è stato loro comunicato che la meta per cui si preparavano da 4 anni sarebbe stata rimandata di un anno. Per alcuni di loro questa sarà l’ultima Olimpiade e l’invecchiamento del corpo, anche di un solo anno, a quel livello ha generato preoccupazione. Ci sono atlete, ma anche donne dello staff, che lo scorso anno avrebbero partecipato alle Olimpiadi e quest’anno non ci saranno, perché neo mamme o attualmente in attesa di un figlio. Inoltre, all’inizio della pandemia gli atleti hanno dovuto ridurre notevolmente la frequenza e l’intensità di allenamento, poi l’allenamento è stato modificato per le contromisure per il COVID-19. Molti di loro hanno contratto il virus e, quindi, si sono ritrovati a pochi mesi dalle Olimpiadi con la spossatezza che lascia questa infezione e la preoccupazione di non riuscire a prepararsi al meglio. Ma con una grande voglia di dimostrare il valore atletico della nostra Italia.

Ci racconti come si svolge la vita nel Villaggio Olimpico, di cui in tanti addetti ai lavori che lo hanno vissuto per anni, tra sportivi, medici e giornalisti hanno descritto con parole ed immagini.

La vita al villaggio olimpico dello staff sanitario è molto diversa da quella degli atleti e ancor più da quella dei giornalisti. Noi stiamo nelle stanze mediche-fisioterapiche per tutto il giorno e anche parte della sera, perché gli atleti vengono a qualunque ora per farsi visitare e trattare. Ogni sport ha i propri orari, c’è chi si allena la mattina, chi il pomeriggio e chi la sera e dopo l’allenamento gli atleti vengono spesso a fare fisioterapia, per poi essere pronti per l’allenamento del giorno dopo. Talvolta riusciamo ad andare a vedere un allenamento o una gara, ma la maggior parte del tempo siamo in ambulatorio e le gare le vediamo in televisione. Quest’anno poi saremo tutti più controllati e costretti a rimanere nel villaggio olimpico, per via delle misure di contenimento per il COVID-19 e nessuno potrà andare in giro per la città, nemmeno un volta finita l’Olimpiade. Nonostante questo, l’atmosfera che si respira al villaggio è magica: piena di concentrazione ma anche di divertimento e la cosa più bella è che si respira e si tocca il senso di appartenenza alla propria nazione. Gli atleti ci trasmettono grande energia e con loro si instaura un rapporto di fiducia per cui quando entrano in ambulatorio mostrandoci felici la medaglia, o ci ringraziano per l’aiuto che abbiamo dato loro, questo ci ripaga di tutta la fatica.

In quanto direttore sanitario dell’IMS, lei rappresenta ed è portatrice di valori quali la prevenzione, la cura, la diffusione dei corretti stili di vita. E mai come con l’arrivo del Covid 19 il mondo ha capito l’importanza del movimento, dell’attenzione ai segnali del nostro corpo e della cura dell’alimentazione, per bambini e adulti, al fine di combattere uno dei mali del nostro tempo, l’obesità, che è l’anticamera di altre patologie e che pesa economicamente sul sistema sanitario nazionale. Come traducete questo nella quotidianità nei confronti della popolazione?

Il nostro lavoro si basa sulla diffusione dei corretti stili di vita, promuovendo l’attività fisica attraverso la medicina dello sport, una corretta alimentazione attraverso i nostri nutrizionisti, il recupero in chi si è infortunato attraverso il lavoro dei nostri fisioterapisti e cerchiamo di divulgare tali informazioni attraverso congressi, corsi e lavori scientifici, affinché dai ragazzi delle scuole alle persone adulte ed anziane, si comprenda il valore educativo ed inclusivo dello sport, per tutti.

Lei è anche team medical liasoner officer per gli europei EURO 2020. Un’altra emozione per l’Italia che ha ospitato l’apertura con la partita inaugurale allo stadio Olimpico di Roma. Come si svolge il suo ruolo durante le 4 partite? Durante la partita Danimarca-Finlandia, il centrocampista dell’Inter Eriksen ha avuto un arresto cardiaco in campo, ed è stato salvato dalla prontezza del primo soccorso del capitano della squadra e dal medico che ha effettuato la manovra giusta. Poteva succedere a qualunque giocatore in qualunque campo d’Europa. Cosa ha provato in quel momento come medico dello sport?

Il mio ruolo in questi europei è quello di aiutare le nazionali che alloggiano a Roma per le 4 partite previste allo stadio Olimpico per qualunque necessità abbiano. Ad esempio, mi è capitato di organizzare risonanze magnetiche e radiografie, per avere maggiori informazioni riguardo infortuni avvenuti o aiutare le nazionali a reperire materiale fisioterapico specifico che occorreva. Quindi per fortuna nulla di grave, ma eravamo pronti per qualunque emergenza si fosse presentata sia sui campi di allenamento, sia in albergo, sia nello stadio.

Per quanto riguarda ciò che è successo ad Eriksen, in quel momento ho provato tanta apprensione per i primi momenti di rianimazione, perché sono fondamentali e poi quando ho visto che lo trasportavano cosciente mi sono tranquillizzata ed ho provato tanta solidarietà e stima nei confronti dei soccorritori. Non conosco la situazione clinica di Eriksen, ma purtroppo siamo consapevoli che, nonostante le approfondite valutazioni a cui gli atleti vengono sottoposti, esistono delle patologie (ad esempio cardiomiopatie o canalopatie) che possono dare come primo segno di sé la morte improvvisa. Lo scopo di tutti noi medici che lavoriamo nel mondo dello sport è quello di continuare a studiare affinchè ciò non avvenga; cerchiamo di divulgare l’importanza di effettuare corrette valutazioni medico-sportive e cardiologiche, di porre attenzione ad ogni più piccolo dettaglio per cercare di ridurre il rischio di morte improvvisa sul campo.

Ha pubblicato molti studi scientifici su riviste internazionali. In particolare, studi che affrontano il rischio di morte per arresto cardiaco e come evitarlo. Che valore ha la ricerca per un medico e soprattutto per un medico dello Sport? E che progetti ha Barbara Di Giacinto per il futuro?

La ricerca è fondamentale, mettere a disposizione di tutti, attraverso le pubblicazioni scientifiche, le esperienze di ogni gruppo di lavoro è l’unico modo per andare avanti con la conoscenza e migliorare il lavoro di tutti. Per quanto riguarda i miei progetti per il futuro per il momento sono sommersa dai progetti a breve termine: concentrarmi sulle Olimpiadi che si terranno a Tokyo tra pochi giorni, poi tra 7 mesi ci saranno le Olimpiadi invernali a Pechino, nel mezzo c’è tutta l’attività quotidiana dell’Istituto di Medicina che è enorme e per cui ringrazio i miei fantastici colleghi (senza il gruppo il singolo da solo può poco) e non dimentichiamoci un po’ di vacanze con la mia famiglia!

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