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Boy and Bicycle recensione
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“Boy and Bicycle”, le radici del genio di Ridley Scott (recensione)

Il primo cortometraggio di un grande artista ha qualcosa di sacro. Quando, nella sala del Cinema Adriano, abbiamo avuto l’opportunità di assistere all’opera giovanile di un maestro come Ridley Scott, sembrava di essere testimoni della nascita di un seme destinato a crescere in qualcosa di straordinario. Boy and Bicycle racconta una storia semplice, con protagonista un giovane interpretato dal fratello del regista. In una ripresa in soggettiva, il ragazzo si sveglia nel suo letto mentre i genitori discutono. Non vediamo il suo volto fino a quando non si riflette nello specchio dell’armadio.

La giornata del protagonista ha inizio e, con la sua bicicletta, si muove per la cittadina, accompagnato da un monologo interiore che offre riflessioni comiche sugli adulti, rivelando con sagacia i suoi pensieri sulla vita e sulla morte, mentre osserva le dinamiche della sua famiglia. Guardando il cortometraggio, si percepisce una purezza nelle immagini che catturano momenti di innocenza: il dettaglio della ruota della bici e le piccole azioni quotidiane di un ragazzo che si muove liberamente, spensierato. Questi elementi ci proiettano in una dimensione infantile, mentre la regia mostra già una sorprendente maturità.

In sala, alcuni collaboratori di Scott hanno condiviso la loro esperienza di lavoro con il regista, sottolineando quanto del suo talento fosse già percepibile in questo primo lavoro. Viene evidenziata la sua passione per l’architettura e il modo in cui inserisce i personaggi in composizioni poetiche, influenzate dall’architettura brutalista. Si percepisce l’archeologia industriale e l’idea di come l’essere umano cerchi sempre una gabbia o una struttura aperta.

Scott trasmette un forte senso della famiglia, il suo amore per i cani e una particolare attenzione al movimento e all’immagine nitida. È descritto come un cineasta meticoloso, con ossessioni e abitudini distintive, un risolutore di problemi capace e un collaboratore rispettato dai produttori e dal personale sul set. Il suo passato nel mondo della pubblicità gli conferisce una comprensione approfondita di tutte le componenti del film, non solo quelle legate alla realizzazione. La sua meticolosità si riflette nella scelta dei colori e dei dettagli della scenografia, con l’intento che, anche senza audio, la storia possa essere ugualmente compresa. Quando deve spiegare qualcosa, Scott lo fa attraverso disegni, trasformando le parole in interpretazioni visive. Tra le influenze del cinema italiano, emerge il suo amore per l’estetica, che permea ogni inquadratura.

Poco prima dell’uscita di Gladiatore II, è emozionante poter vedere il suo primo cortometraggio, che parte da una piccola storia di un ragazzo e la sua bici e arriva a epiche narrazioni come quelle di Gladiatore: dal minimalismo alla grandiosità. Eppure, è proprio in questo primo cortometraggio che si intravedono le radici di un linguaggio visivo che, con il tempo, è diventato un contributo indelebile alla storia del cinema.

La recensione è a cura di Guglielmo Colombo, volontario della redazione di Alice nella Città.

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