Carlo Vannini non è solo un musicista, ma un vero artigiano delle note che ha dedicato la sua vita all’esplorazione e alla sperimentazione musicale tracciando un percorso unico nel mondo della musica, distinguendosi per la profondità e l’originalità del suo approccio. Ne è un esempio il suo ultimo brano, “L’Amaca” (Clapo Music Edizioni Marechiaro / Believe), singolo che fa parte di “Punto e accapo“, l’Ep d’esordio dell’artista napoletano.
Carlo racconta a Zoom Magazine le influenze che hanno modellato la sua carriera, i suoi processi creativi e come vede il futuro della sua musica in un mondo in costante cambiamento.
Carlo, come nasce il brano “L’amaca”?
“L’Amaca” è uno di quei brani che ha avuto un percorso davvero singolare: parte della musica è nata nel 2018 durante la preparazione di un esame in conservatorio col Maestro Lucio Lo Gatto, il quale chiedeva di musicare, con una mia composizione inedita, un cortometraggio da lui scelto. Presi 30, ma questo non è bastato a togliermi quella sequenza di note dalla testa. Dopo circa due anni, in una vacanza salentina, ho fatto ascoltare quel motivetto a un mio amico attore, Daniele Marino. Il quale, in modo assolutamente istintivo, ha iniziato a scrivere dei versi. Ma il percorso del brano non finisce qui, infatti soltanto mesi e mesi dopo quell’estate salentina, ho ripreso il brano con le parole di Daniele e ho deciso di tradurlo e adattarlo totalmente in napoletano, la lingua che meglio traduce i miei mondi interiori. Infine, con le ulteriori idee del mio arrangiatore Giosi Cincotti, le chitarre di Ernesto Nobili, le percussioni di Michele Maione e il contrabbasso di Roberto Giangrande, è nata “L’Amaca”. Da qualche settimana, grazie alla mano dell’illustratore Gennaro Rapa, che ha curato il videoclip, le mie note sono state tradotte in disegni. Insomma spero che l’evoluzione de “L’Amaca”, sia ancora lunga e non finisca qui.
Quali sono state le principali influenze musicali e teatrali che ti hanno ispirato durante la sua composizione?
Oltre al già tante volte citato Pino Daniele, in brani come “L’Amaca”, così come in altri presenti nel mio album “Punto e Accapo”, la mia principale influenza musicale, nonché teatrale, è sicuramente legata a Giorgio Gaber. Mi ha sempre affascinato come, raccontando le sue storie, fosse capace di creare un filo costante di empatia col pubblico, intrattenendolo ma allo stesso tempo invitandolo a fare riflessioni di ogni tipo. Ecco, il suo modo di fare musica, con tutto il suo teatro-canzone, sono senza dubbio parte della direzione che voglio intraprendere nel mio percorso.
Il ruolo della fisarmonica è molto prominente. Cosa ti ha spinto a scegliere questo strumento come protagonista del brano e come hai lavorato per integrarlo nel contesto jazzistico?
Tutto nasce, senza alcun dubbio, dal rapporto decennale che ho col Maestro Giosi Cincotti che, oltre ad essere arrangiatore, pianista e fisarmonicista di ogni mio brano, è stato compagno di mille avventure e di altrettanti spettacoli, in cui spesso abbiamo “dialogato” con voce e fisarmonica. Ho sempre pensato, infatti, che la fisarmonica sia, con la mia voce, la vera protagonista di questo album. In sintesi un incontro tra anime, la mia con quella del Maestro Giosi Cincotti.
Nel tuo percorso artistico, hai attraversato molte esperienze diverse, dal teatro alla musica. Come hanno plasmato il tuo approccio alla creazione musicale?
Non credo che siano state, in molti casi, le mie esperienze a plasmare il mio approccio. Credo, piuttosto, di aver scelto determinate esperienze perché già immaginavo i risultati che avrei voluto avere. Nella mia vita artistica ho avuto due amori: la Musica e il Teatro. Non mi ha mai soddisfatto, però, né l’idea di fare esclusivamente l’attore, né esclusivamente il musicista. Avevo bisogno di entrambe le cose: fare musica e, allo stesso tempo, comunicare in un certo modo con gli occhi di chi guardava e con le orecchie di chi ascoltava. Ho sempre creduto che lo studio fosse importante. Ecco che mi sono diplomato come attore all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini e laureato in canto jazz al Conservatorio San Pietro a Majella. Grazie a queste esperienze ho potuto avere gli strumenti per creare le condizioni per poter creare le mie canzoni.
La tua musica si distanzia dall’odierno consumo rapido e superficiale, puntando a una permanenza nel tempo. Come pensi che questo approccio sia recepito dal pubblico contemporaneo?
Non ho la presunzione di decidere a tavolino questo principio quando scrivo una canzone. Dico solo che se oggi, nel 2024, ascolto ancora, per la maggior parte del mio tempo, artisti come Dalla, Miles Davis, Tenco o Chet Baker, è perché sento che questi artisti, non scrivevano esclusivamente per la ricerca ossessiva di un successo o di una classifica. Facevano arte semplicemente perché avevano delle cose da dire, delle esigenze, delle necessità. Avevano voglia di condividere le loro ricerche musicali, o delle riflessioni su ciò che ci circondava. E potrei allargare questo discorso a poeti, pittori o scultori. Solo in un secondo momento, a prescindere dal percorso artistico fatto, la parola successo si è unita alla loro arte, perché sempre onesti con loro stessi, perché sempre autentici. Io credo che l’autenticità arrivi inevitabilmente e sempre al pubblico, quello di ieri, quello di oggi e di domani. In conclusione sentiamo più vicino a noi una canzone di Mogol/Battisti, o le note di un tormentone estivo dell’estate scorsa?
Hai collaborato con molti artisti e professionisti del teatro e della musica. Qual è stata la collaborazione più significativa per te?
Due su tutti mi hanno particolarmente influenzato. Claudio Mattone, perché, dopo avermi “cresciuto” con la sua musica e i suoi dischi mi ha voluto per la tournée del musical “C’era una volta… Scugnizzi” con il quale ho respirato le tavole dei più grandi teatri italiani. Infine, il drammaturgo Mario Gelardi, amico di una vita, che mi ha insegnato, visti i tanti spettacoli fatti insieme e i dieci anni vissuti al Nuovo Teatro Sanità, il linguaggio teatrale con tutti i suoi codici.
Il tuo EP di esordio “Punto e accapo” segna una tappa importante della tua carriera. Quali sono i tuoi obiettivi futuri e come vedi evolvere il tuo percorso artistico nei prossimi anni?
“Punto e accapo” è una tappa importante non solo della mia carriera, ma della mia vita. E’ la sintesi di tutte le mie esperienze lavorative e umane. Ringrazio la mia compagna Annabella de Carolis senza la quale nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. E’ stata la prima a credere in me. E mi basta la sua presenza, così come quella di Giosi Cincotti, o di Claudio Poggi, a farmi sentire “al sicuro” per i prossimi progetti che verranno. Li ringrazio per avermi dato il loro preziosissimo tempo.