Molte volte, a seguito di divorzi e separazioni dei coniugi, affrontando gli aspetti economici che ne derivano, si parla di assegno di mantenimento e/o divorzile. Apparentemente e per i meno informati della materia si pensa che i due tipi di assegni siano pressoché la stessa cosa, differenziandoli banalmente solo per le seguenti fasi: l’«assegno di mantenimento» è quello che viene decretato con la sentenza di separazione tra moglie e marito mentre l’«assegno divorzile» (o «assegno di divorzio») è quello che, sostituendo il primo, scatta a partire dal divorzio. Si pensa quindi che la differenza sia solo terminologica e non sostanziale. E difatti, fino a pochi anni fa era davvero così in quanto le due tipologie di assegno, erogate al coniuge economicamente più debole, venivano calcolate sulla base degli stessi criteri. Negli ultimi anni, però, tra le due misure assistenziali è stata inserita dai Giudici una distinzione sostanziale e che riguarda il loro contenuto. Vediamo allora insieme quali sono, attualmente, queste differenze in concreto.
Cos’è l’assegno di mantenimento e quando spetta?
Si tratta di una misura che viene concordata tra i coniugi o, in assenza di accordo, disposta dal giudice a seguito della separazione.
Lo scopo di tale contributo di carattere economico, versato solitamente mensilmente, è garantire al coniuge con il reddito più basso di poter mantenere, anche dopo la fine della convivenza, lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il presupposto necessario per il versamento dello stesso e dunque una sostanziale sproporzione di reddito tra moglie e marito. In situazioni di medesima capacità economica non è dovuto il mantenimento, neanche se il matrimonio dovesse interrompersi per colpa di uno dei due coniugi. Difatti, il mantenimento non è una sanzione ma un sostegno economico per chi non ha le capacità di mantenersi da sé. Se i due coniugi non si mettono d’accordo sull’entità del mantenimento, a liquidarlo sarà il giudice tenendo conto di una serie di parametri tra cui, oltre alla predetta differenza tra le due condizioni reddituali, anche la durata del matrimonio e la capacità (in termini anagrafici, fisici, di salute e di capacità lavorativa) del coniuge più debole di lavorare per mantenersi da sé. L’assegno di mantenimento non può essere richiesto dal coniuge che, nell’ambito della causa di separazione, subisce il cosiddetto addebito, ossia la dichiarazione giudiziale di responsabilità per la fine della convivenza. Si tratta dell’accertamento della violazione di una delle regole del matrimonio come l’obbligo di fedeltà, convivenza, contribuzione materiale e morale ai bisogni della famiglia, solidarietà, ecc. Sicché, tanto per fare un esempio, il coniuge traditore, anche se disoccupato, non potrà mai chiedere l’assegno di mantenimento. E’ importante però specificare che il coniuge a cui sia addebitata la separazione, ma versi in particolare stato di indigenza, pur perdendo il diritto al mantenimento per i motivi sopra detti, non perderà il diritto a ricevere dall’altro coniuge gli alimenti.
Cosa si intende nello specifico per “alimenti”?
Gli alimenti sono una misura di sostegno che viene versata al coniuge che si trova in condizioni di reale stato di bisogno fisico o economico perché obiettivamente non in grado di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento. Tra gli alimenti non rientra solo il cibo, ma tutti i beni di stretta necessità, come alloggio e medicine. In questo caso dunque il presupposto sostanziale e necessario, che differenzia alimenti da mantenimento, è il seguente: mentre il mantenimento scatta unicamente quando vi è una effettiva sproporzione di reddito tra i due coniugi e non sia stata addebitata la colpa della separazione al coniuge economicamente più debole tra i due, gli alimenti sono invece dovuti al coniuge che non sia in grado di provvedere da solo alle proprie esigenze primarie. Quindi in quest’ultimo caso si richiede una situazione di obiettiva difficoltà economica, ossia uno stato di bisogno tale da pregiudicare la stessa sopravvivenza. Per tale motivo, alla luce di una così grave necessità, l’avente diritto non perde gli alimenti pur in presenza di un eventuale addebito a suo carico. Normalmente, sia il mantenimento che gli alimenti vengono corrisposti sotto forma di prestazione economica (dunque mediante assegno); tuttavia non è escluso che l’obbligo possa essere soddisfatto diversamente, ad esempio ospitando in casa colui che versi nello stato di bisogno di cui sopra.
In cosa consiste invece l’assegno divorzile?
Affinché tutti i vincoli del matrimonio possano cessare definitivamente è necessario che la coppia, dopo aver provveduto alla separazione, compia l’ultimo passaggio del divorzio. Il divorzio può essere chiesto non prima di 6 mesi se c’è stata una separazione consensuale (mediante l’accordo delle parti) o non prima di 1 anno in caso di separazione giudiziale (ossia pronunciata dal giudice a seguito di una causa vera e propria). Con il divorzio, l’assegno di mantenimento viene sostituito dall’assegno divorzile. In buona sostanza, quel contributo mensile che prima veniva versato, dal coniuge “più ricco” a quello “più povero”, a titolo di mantenimento prenderà ora il nome di assegno di divorzio. L’assegno di divorzio spetta alle stesse condizioni dell’assegno di mantenimento. Dunque, deve innanzitutto continuare a sussistere una differenza economica sostanziale tra i due coniugi. Per cui, se tra la separazione e il divorzio il coniuge che prima prendeva l’assegno di mantenimento ha migliorato la propria condizione reddituale (ad esempio, iniziando a lavorare) o quello che versava l’assegno l’ha vista invece peggiorare (ad esempio, a seguito di un licenziamento), il giudice, nel decidere se liquidare o meno l’assegno di divorzio, potrebbe decidere in senso negativo o stabilire un importo inferiore rispetto a quello versato fino a quel momento. In secondo luogo, per ottenere l’assegno di divorzio non bisogna aver subito l’addebito nel precedente giudizio di separazione. La Cassazione però ha spiegato un concetto fondamentale e che segna in modo sostanziale il confine tra le due forme di assegno: in particolare l’assegno divorzile non deve risolversi in una rendita parassitaria in favore del coniuge più debole, per cui questi deve dimostrare di meritare il contributo mensile. Dunque, il giudice, nel momento in cui valuta se concedere o meno l’assegno di divorzio, verifica se il coniuge richiedente tale misura ne ha realmente diritto. E, a tal fine, accerta se questi
è ancora giovane per poter lavorare e mantenersi da sé, se le sue condizioni di salute e di formazione gli consentono di inserirsi nel mercato del lavoro, se ha dato prova di aver cercato un’occupazione e non esserci riuscito.
In definitiva, quali sono le differenze sostanziali tra l’assegno di mantenimento e quello divorzile?
La prima differenza sostanziale tra assegno di mantenimento e divorzile consiste nella quasi automatica attribuzione del primo (sempre tenendo conto dell’effettiva sproporzione reddituale tra i due coniugi) e in un più severo giudizio di meritevolezza per il secondo. La ragione è semplice: l’assegno di mantenimento è una forma di “paracadute” per il fatto di trovarsi improvvisamente soli e senza un sostegno economico. Tra la separazione e il divorzio invece c’è tutto il tempo per iniziare a reimpostare la propria vita e cercare una soluzione che possa garantire l’autosufficienza. In poche parole, chi chiede l’assegno divorzile ha il cosiddetto onere della prova, deve cioè dimostrare di: non avere più un’età utile per collocarsi nel mondo del lavoro (età che per la Cassazione scatta all’incirca da 45 anni in su); non avere una condizione di salute tale da consentirgli di lavorare; aver perso ogni contatto con il mondo del lavoro per essersi occupato della gestione della famiglia e dei figli (caso tipo è la casalinga); aver cercato un lavoro (inviando il cv alle aziende, chiedendo colloqui di lavoro, partecipando a bandi e concorsi, iscrivendosi all’Ufficio per l’Impiego, ecc.) e di non esserci riuscito per cause indipendenti dalla propria volontà.
Un’altra sostanziale differenza consiste inoltre nel criterio di liquidazione dell’importo
Abbiamo detto che l’assegno di mantenimento mira a garantire, all’ex più debole, lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. Scopo dell’assegno divorzile è, invece, garantire solo l’autosufficienza economica del coniuge più debole ossia la capacità di mantenersi da solo. Quindi la misura, seppur non “fissa”, non risentirà della maggiore ricchezza di uno dei due.
Unica eccezione è prevista per il coniuge che, con il proprio lavoro domestico, ha consentito all’ex di dedicarsi alla carriera e incrementare la propria ricchezza. In tal caso, l’assegno di mantenimento sarà incrementato in modo proporzionale a tale ricchezza e sarà quindi ben più alto dello stretto necessario per raggiungere l’autosufficienza economica.
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