“Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai. Neanche un giorno in vita tua” è uno degli aforismi più noti di Confucio. E Giacomo Merlo, quasi diciottenne toscano, l’ha fatto suo scegliendo di lavorare fin dalla primissima adolescenza. Premessa: il suo non è un lavoro “minorile”. E la sua storia parte da lontano: c’era una volta un bambino che già all’età di cinque anni si faceva chiamare Jack e guardava in tv i videoclip di Michael Jackson.
Oggi quel bambino compirà diciotto anni a dicembre ed è un ballerino e coreografo affermato anche a livello internazionale. “Ricordo ancora quando mi inchiodavo davanti al televisore a fissare, quasi ipnotizzato, chiunque ballasse. Tra tutti Michael Jackson era il mio preferito e ho scelto da subito di ispirarmi a lui” racconta lui alla presenza di mamma Michela, insegnante, che lo ha assecondato nella sua passione consentendogli di imparare un’arte, quella danza, che ormai è parte della sua vita da oltre tredici anni. “Avevo proprio cinque anni quando mi sono iscritto alla scuola Areadanza di Livorno, che è la città dove sono nato. Ho iniziato a ballare prima di andare alle elementari ed ero l’unico bimbo tra tante bambine, ma non mi sono mai sentito fuori posto. Già allora immaginavo il mio futuro sui palcoscenici più prestigiosi“.
Come è arrivato a diventare un coreografo a dispetto della sua giovane età?
Studiando, studiando, studiando. Solo con l’impegno e il sacrificio si raggiungono i risultati e io non mi sono mai tirato indietro, e non mi è pesato dover rinunciare ad una adolescenza normale. Se mi guardo indietro non ricordo di un sabato sera passato con i miei amici, perché mi interessava di più andare ad allenarmi. Dopo sei anni di studio all’Areadanza ho iniziato a girare prima per l’Italia e poi all’estero, sempre accompagnato dai miei, per stage e corsi specifici sui vari stili. Quando avevo tredici anni, dopo la fine delle scuole medie, mi sono trasferito a Firenze, da solo. Ho studiato per due anni all’Accademia di danza Opus Ballet.
È in quel momento che ha iniziato a pensare che la danza sarebbe stato il suo mestiere e non solo un’attività sportiva o artistica come per esempio lo studio di uno strumento musicale?
In realtà già dalle elementari coltivavo questo sogno e il mio obiettivo è diventato più chiaro alle medie. A chiunque mi chiedesse cosa volevo fare da grande rispondevo “il ballerino”. Poi ho allargato il mio orizzonte e ho iniziato dire che avrei voluto fare “il ballerino e il coreografo”. Esserci riuscito è la ricompensa per tutti i sacrifici fatti, perché mi sono impegnato davvero tanto. Mia madre direbbe “anche troppo”. Perché negli anni a Firenze, dove mi raggiungeva molto spesso, ho viaggiato tantissimo per perfezionarmi, riuscendo a vincere varie borse di studio. La più importante mi ha portato fino a Dublino, in Irlanda, per studiare alla Fly Dance Studio, una delle scuole di danza più famose a livello internazionale, che mi ha permesso di far parte della Fly Dance Company, della quale faccio parte tuttora.
In che modo riesce ad alternare la sua attività di ballerino con quella da coreografo, che la porta fuori dalla pista?
Prima dell’arrivo della pandemia ero sempre con la valigia sotto il letto, come si usa dire. E negli ultimi anni, in particolare, dopo aver approfondito tutti gli stili, mi sono dedicato principalmente all’hip hop e avrei dovuto addirittura partecipare all’Hip Hop International di Phoenix, in Arizona. Questa mia particolare attitudine è stata notata quando mi trovavo all’estero per studiare. La prima volta in cui mi hanno chiesto di insegnare ero ancora uno studente che partecipava ad uno stage. Rispetto all’Italia, all’estero c’è maggiore apertura mentale nei confronti dei giovani, se hanno talento e capacità. Così ho iniziato a fare lezioni a Parigi, al Lax Dance Studio e successivamente anche a Madrid, in varie accademie. In Spagna sono tornato anche nei mesi scorsi, tra l’altro partecipando ad alcuni video pubblicitari nei quali ovviamente ballavo. Durante il primo lockdown ho iniziato a tenere dei corsi online di hip hop per alcune scuole in Messico, con tutte le conseguenze relative al fuso orario. In pratica, davo lezioni di notte.
Per tornare però alla domanda: non è difficile organizzarsi, basta farsi tenere pronti quando arrivano le proposte. Oggi ho raggiunto un equilibrio che mi permette di allenarmi come allievo e allo stesso modo di insegnare come maestro. Perché insegnando ho capito che posso imparare tanto anche dai miei allievi. E mi tengo in allenamento a mia volta. La danza è un’arte che alla base ha il valore della condivisione. A me non interessa vincere le gare, ma dare sempre il massimo ed essere soddisfatto di quello che faccio. Per me e non per il giudizio degli altri. Anche quando facevo competizioni, dove mi sono sempre piazzato ai primi posti, non era la classifica ad interessarmi. Per questo devo ringraziare i miei maestri che mi hanno saputo trasmettere il vero valore della danza. E i miei genitori che mi hanno sempre supportato ma mai “caricato” a molla per raggiungere i miei obiettivi. Che, appunto, sono i miei e non i loro.
Come vivono i suoi genitori la sua condizione di “cervello in fuga”?
Direi più che sono le mie gambe in fuga, perché è grazie a quelle che posso realizzare il mio sogno di ballare. Ma anche il cervello conta, innegabilmente, perché l’impegno parte da lì. Non mi definisco un cervello in fuga perché il mio lavoro non è determinante come quello di mio padre, che fa il medico. Io cerco con la mia arte di coinvolgere il pubblico regalandogli delle emozioni. So che non è poco, ma pur ballando, lo faccio con i piedi per terra. E poi l’Italia è la mia base per cui voglio continuare a studiare e insegnare anche qui, una volta raggiunta la maggiore età. Per ora vado a farlo dove mi è consentito, ma sempre sotto l’occhio vigile e attento dei miei. Che si informano costantemente sulle mie attività e sono al corrente di ogni mio spostamento. Tra l’altro sono io a gestire la mia agenda, attraverso i social network e in particolare attraverso Instagram, dove ho un profilo pubblico che in fondo è la mia “vetrina” professionale (www.instagram.com/giakomo03). La maggior parte delle richieste per nuove collaborazioni professionali passa da lì e sto notando, con piacere e un pizzico d’orgoglio, che dall’estero ne arrivano in misura sempre maggiore.