Monica Cembrola, napoletana, avvocato e imprenditrice dell’arte. Una figurina minuta che cattura l’attenzione per quel guizzo nello sguardo da diva anni ’40. Madre, più volte moglie, ha vissuto negli Stati Uniti, in Inghilterra e infine in Francia, dov’è rimasta per più di 20 anni.
Da tempo Monica ha deciso di fare della sua passione per il mondo dell’arte il suo centro primario di interessi. Nel 2015 ha costituito negli Stati Uniti la fondazione che porta il suo nome allo scopo di supportare i giovani artisti nella loro carriera attraverso borse di studio e residenze. Ha anche dato vita ad una società di art consultancy nel settore crocieristico e dell’hospitality. Ama l’Africa, dove collabora con la Fine Arts School di Addis Abeba, ma il suo cuore e il suo temperamento sono totalmente partenopei.
Nonostante abbia vissuto una vita ad alta velocità frequentando i luoghi più esclusivi del pianeta, la costiera Amalfitana, d’estate, resta il suo rifugio per vacanze da mille e una notte.
Monica, quando ha deciso che la Francia sarebbe stata la sua seconda patria?
La Francia è nata per caso, non per una reale scelta. Vinsi una borsa di studio per un master in diritto internazionale alla Sorbona. Da lì in poi, un susseguirsi di incontri che mi hanno ancorata a Parigi.
Lei ha avuto una vita da film. Quanta Napoli c’è nel suo successo?
La mia vita non è proprio da film! Ma se può dare questa impressione è proprio grazie al mio sostrato napoletano che fa sembrare tutto ‘haut en couleur‘, un po’ teatrale sia nei momenti alti che bassi. Di sicuro non mi sono risparmiata. Ho vissuto con intensità e autenticità i miei amori, le mie passioni professionali. Ho inseguito i miei sogni ed ho sempre voglia di costruire, di guardare avanti.
Grazie a lei, a Milano l’arte è arrivata in metropolitana. “Resurrection”, con evidente allusione alla ripartenza dopo il trauma sociale della pandemia, è il titolo della mostra che ha organizzato per rendere l’arte quotidiana, fruibile a tutti. Un’esposizione di artisti contemporanei emergenti che attraverso le immagini crea un percorso inedito all’interno delle stazioni suscitando emozioni nei viaggiatori. Com’è nata l’idea?
“Resurrection” è nata dal mio desiderio di superare la tristezza e la paura della pandemia attraverso l’arte che è il più grande ‘change agent’ che possa esistere. La fondazione è nata da una mia intenzione di supportare gli artisti giovani e privi di mezzi per emergere. Avevo iniziato a collezionare un po’ ma pensavo che non sarebbe bastato per aiutarli. Dunque ho pensato a cosa più nella mia esperienza mi aveva aiutato a crescere e la risposta è stata immediata: gli studi all’estero. All’epoca abitavo a Parigi: ho preso appuntamento con il direttore dell’Ecole des Beaux Arts, che all’epoca era Nicolas Bourriaud, un nome eminente nell’arte. Gli ho esposto il mio progetto e lui ha aderito. Queste sono le cose che amo di Parigi: hai un’idea e la puoi realizzare. Non nasco nel mondo dell’arte, non avevo nessuna conoscenza particolare, Nicolas mi era perfettamente sconosciuto: eppure questo non è stato un ostacolo.
In Italia la bellezza è in ogni dove. Il suo ideale è nobile: l’arte è di tutti. In quali altre città e in quali altre metropolitane si potrebbe replicare questo suo eccellente progetto? Vuole lanciare un messaggio a qualche Sindaco illuminato?
Sì, mi piacerebbe realizzarla a Roma che è una città d’arte importante ma ancora poco concentrata sull’arte contemporanea. Roma potrebbe essere un faro, un modello per tutte le altre metropoli: bisognerebbe avere più coraggio nel lanciare progetti ambiziosi, inclusivi, più internazionali.
E’ nata a Napoli, una città di indiscutibile fascino, ma anche particolarmente complicata per alcuni aspetti. L’ arte può aiutare a recuperare giovani meno fortunati e spazi male utilizzati o, peggio, abbandonati? Ci sono figure di politici o imprenditori che lei stima, potenziali protagonisti di un cambiamento e con i quali potrebbe collaborare ad un progetto visionario e coraggioso?
Napoli secondo me è la città d’arte per antonomasia. Perché l’arte e già nel ‘savoir vivre‘ della sua gente. Tra i miei progetti Napoli è al primo posto. Tra le figure che ammiro e con cui mi piacerebbe confrontarmi e collaborare c’è l’Armatore Vincenzo Onorato che aveva istituito la scuola marittima “Mascalzone Latino” per i ragazzi dei quartieri. Con lui metterei arte nei porti e nei traghetti! E il ministro Mara Carfagna, una politica illuminata, anche lei campana, con la voglia di far progredire la città e tutto il Sud, e che ha voluto dare un segno anche contribuendo al restauro del Real Albergo dei Poveri o Palazzo Fuga, che è il maggiore palazzo monumentale di Napoli ed una delle più grandi costruzioni settecentesche d’Europa. E che, come dice la Carfagna, è già una splendida realtà che offre istruzione, lavoro, formazione d’eccellenza a centinaia di ragazzi dei Quartieri Spagnoli. Ecco, portare l’arte in un luogo così significativo sarebbe simbolico ed un auspicio concreto per la rinascita, appunto per dirlo con la mia mostra: “Resurrection“.
Lei è madre di una ragazza di 20 anni. Tre valori imprescindibili che ha trasmesso a sua figlia?
Le insegno tutti i giorni ad essere indipendente, sempre. A volersi bene ed essere fedele a se stessa, e a rispettare il prossimo coltivando la gentilezza.
Quali progetti ha per il futuro?
Tanti. Da una mostra sugli sguardi di Napoli, alle case popolari disegnate da artisti nella ricostruzione post terremoto. Vorrei fondare una scuola di arte per ispirare così i giovani di talento. Infine, dedicarmi al padiglione della Namibia alla Biennale di Arte di Venezia 2022. L’arte, il suo messaggio e la sua bellezza possono contribuire a migliorare il mondo e la società in cui viviamo.