Riccardo Foresi, marchigiano, con una importante carriera alle spalle come interprete, gli studi al Conservatorio e la tromba come compagna di vita, sceglie di fare un salto di qualità per raccontarsi e raccontare. Con Paura di Me e il suo video, celebra la vita: un dono prezioso che abbiamo il dovere di rendere speciale, assaporandone ogni momento, senza nasconderci dietro a inutili paure. Riccardo si racconta per noi con sincerità, ripercorrendo le tappe di una strada, spesso in salita, che però non ha mai abbandonato. Da bambino, inseguiva ammaliato la banda del paese; da ragazzo è sbarcato a New York con in tasca solo le sue speranze, trovando risposte e persone che hanno segnato e determinato la sua carriera. Oggi Riccardo Foresi è un cantautore, un trombettista, un musicista che ha saputo coniugare ogni sfumatura del proprio talento con la sua innata timidezza, che non rappresenta più un limite ma un’opportunità.
Paura di me è l’ultimo singolo. Un brano importante, intimo e autobiografico, come è nato?
Parla di me e di quello che mi ha impedito, talvolta, di spiccare il volo: una paura interiore che spesso mi ha limitato. Un testo assolutamente autobiografico e intimo, dove metto a nudo le mie fragilità. Riconosco, finalmente, di aver “perso tempo” in rinvii dettati dal timore di sbagliare o non essere all’altezza. Ho sempre saputo cosa volessi fare davvero nella vita, ma spesso mi sono accontentato per non scoprirmi, per non mettermi in gioco fino in fondo.
Riccardo, come hai capito che la musica sarebbe stata il tuo mestiere?
Ho sempre avuto voglia di ascoltare canzoni e di cimentarmi col canto. Mio padre ha rifondato la banda musicale del paese, dove ha suonato tutta la mia famiglia, proprio l’anno della mia nascita. Era stata chiusa e lui ha voluto riaprirla. Da bambino ero un discolo e ne combinavo di tutti i colori, ma quando passava la banda rimanevo ipnotizzato: ero attratto magicamente e sognavo di farne parte. Lì ho mosso i primi passi, innamorandomi della tromba, che è il mio strumento, diplomandomi poi al Conservatorio, giovanissimo. Questa è stata per me un’opportunità importante per crescere frequentando una scuola che mi metteva a confronto con ragazzi più grandi. Una grande sfida e lo stimolo a migliorarmi: come giocare in una lega più alta. Sette anni di studi, in un’età in cui si occupa il tempo libero, giocando. Mi sentivo diverso e abitando in un piccolo paese, per frequentare il Conservatorio, mia mamma mi veniva a prendere a scuola un’ora prima. La mia vita era tutta incentrata su quello e i miei hanno fatto davvero un investimento grande, che ho sempre voluto onorare con impegno.
La tromba, con la quale hai ottenuto anche il successo, ad un certo punto non ti è più bastata. Che cosa è cambiato?
Ad un certo punto, nonostante la sua importanza per me, ho sentito di dover dare la precedenza al canto, perché voler fare a livello agonistico due sport, è impossibile. Nella mia famiglia lo strumento a fiato è una costante, una tradizione. Per qualche anno l’ho abbandonata del tutto, poi l’ho ripresa e oggi ha un ruolo particolare: mi aiuta a ritrovarmi. Mi appartiene e mi rappresenta ed è una grande parte della mia identità. A volte suonarla è come mettere da parte un po’ di sensi di colpa, che non dovrei avere, ma che ho. La voce è uno strumento e va utilizzato nel modo più giusto. Gli anni di Conservatorio sono stati formativi e fondanti per la mia attuale professione, utilizzo la mia voce con la stessa attenzione con cui suono il mio strumento. La tromba e il canto non sono così distanti come si potrebbe pensare: c’è una forte connessione, infatti, nella respirazione per il canto e per lo strumento a fiato. La voce e la tromba vibrano in noi e il suono della tromba amplifica quello che arriva da dentro. Sono le vibrazioni delle labbra a emettere il suono e, per questo, è uno strumento intimo. La tromba e la voce sono antagonisti alla mia personalità: la tromba solitamente è solista come l’interprete. Entrambi contrastano la mia “paura di me”, la mia insicurezza. Se avessi scelto il violino, avrei potuto sperare puoi sperare di essere nella fila dei violini e nascondermi un po’ di più, mentre con la tromba, inconsciamente, ho cercato di superare la mia timidezza
La voce è diventata il tuo strumento: New York e alcuni incontri destinici, hanno fatto di te ciò che sei. E’ così?
Assolutamente, anzi è il caso di dirlo e sottolinearlo. Ad un certo punto dal mio piccolo paese, cominciai a sognare di partire in cerca di fortuna per dare una svolta alla mia vita. L’America e New York erano i miei obiettivi e consapevole di voler studiare, progettando il mio viaggio, cominciai a cercare “insegnanti di canto” a New York. Ovviamente era un elenco smisurato, dove tra i tanti trovai Miriam Jaskierowicz Arman. La contattai, telefonando dall’Italia, senza sapere nulla di lei. Prenotai un ostello e presi l’aereo per New York avendo in tasca solo la mia speranza e la voglia di farcela. Dopo due settimane che ero lì andai da lei, a Brooklyn. Lei credeva che l’avessi scelta essendomi documentato sul suo lavoro, ma quando capì che non era così, mi disse “Se sei finito a casa mia, sicuramente non è un caso, ma il destino”. Credevo di sapere cantare, di avere esperienza, ma dopo la prima lezione, lei azzerò ogni convinzione. Capii di dover scegliere se affidarmi a lei, o andarmene. Scelsi lei. Da quel giorno. per me iniziò un viaggio incredibile con l’unica persona che poteva indirizzarmi, guidarmi. Mi sono messo nelle sue mani, non solo con la voce, ma come persona. Lei ha saputo farmi guardare in faccia le paure e le devo tutto. Ho scoperto il mondo meraviglioso della voce, che ho imparato a conoscere davvero, per la prima volta. Da lì, è partita ogni cosa. Non dormivo e nell’ostello facevo esercizi alla scoperta delle mie potenzialità. La voce è uno strumento sensibile ed è un attimo buttare via mesi di lavoro. Grazie a lei ho fatto tanto, aperto tante porte. Nonostante tutto, mi sono perso più volte, perché ho dovuto crescere e fare i conti con me stesso. Alla fine, lei c’era sempre a farmi ripartire, a guidarmi. A Miriam J. Arman sarò grato per sempre.
Il ritorno ai live ti ha regalato, insieme all’incontro col tuo pubblico, un’altra piacevole sorpresa. Vuoi parlarcene?
Il 26 giugno a Monte Giorgio, nelle Marche vicino a casa mia, erano presenti la mia famiglia ed una persona davvero speciale. Grazie a mio padre, che era falegname e lavorava spesso per stranieri che prendevano casa nelle Marche, avevo conosciuto il produttore Eric Beall, che amava tantissimo l’Italia. Dopo un paio di mesi che ero a New York, mi arrivò una sua telefonata che mi invitava alla Sony. Grazie a lui cominciarono ad arrivare telefonate, chiamate e la possibilità di lavorare dandomi la possibilità di rimanere nella Grande Mela per sette anni. Un percorso importante e un incontro, come per Miriam, destinico. Vederlo al concerto, mi ha emozionato e reso felice. Ritrovarmi per la prima volta a cantare dopo tanto tempo, con la mia famiglia ed Erik presenti, è stato incredibile. Un cerchio che si chiude, un nuovo confronto e da parte sua un altro importante incoraggiamento.
Quali novità hai in arrivo?
Tantissime. Nel mese di luglio uscirà un altro singolo, del quale ho voluto girare il video al mio paese, con la mia gente, con poche persone e con ancora tutti gli accorgimenti del caso. È stata una bellissima esperienza, un fermo immagine per fissare un momento importante per tutti noi. Bellissimo ritrovare le mie persone, risentire cantare le mie canzoni, mi ha commosso. Manca poco e non vedo l’ora di condividerlo con tutti voi.