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Riccardo Ometto
INTERVISTE MUSICA

Riccardo Ometto: “Nel mio nuovo album l’atmosfera magica degli archi”

Riccardo Ometto, cantautore padovano, viaggia nella musica senza paura. Dalle influenze indie rock, precorrendone i tempi, con i Monrau, Riccardo approda ad un cantautorato intimo e raffinato. Piuttosto riservato, passa dallo scrivere solo in inglese, a testi in italiano dove le parole dipingono immagini, nitide, di vita. Le sue canzoni possono essere rock e “scure” come No Place to Hide, o avvolte in una magia quasi irreale come L’Ombra di Wendy, perché fantasia e libertà intellettuale sono i suoi punti di riferimento.

Oggi Riccardo Ometto, con la fortunata collaborazione del produttore Nicola Albano, sta vivendo un momento artistico ricco di progetti grazie anche all’incontro con un quartetto d’archi, giovane e talentuoso, col quale sta lavorando piacevolmente in studio al nuovo disco.

Se la musica di Riccardo Ometto incontra un quartetto d’archi, cosa succede?

Cose belle! Stiamo lavorando in studio con questi giovani e bravissimi musicisti con i quali, dal primo momento, si è creata una bella alchimia e, confesso, mi sono emozionato molto. L’abito che vestirà l’intero disco sarà proprio quello degli archi, regalandogli un’atmosfera magica. La cosa sorprendente è che sono giovanissimi, ma con un curriculum di tutto rispetto; alcuni di loro hanno accompagnato De Gregori nell’ultima tournée e sono reduci da un concerto in Israele. Mi ha stupito il loro approccio alle canzoni che hanno saputo “indossare” facendole proprie, riuscendo a sorprendermi. Ci siamo trovati bene da subito, cosa che non è mai del tutto scontata; questo potrebbe aprire anche ad altre collaborazioni in vista di progetti futuri legati a uno spettacolo live.

Contaminazioni importanti per un artista che ha saputo viaggiare senza paura nel mondo della musica. Dal gruppo dei Monrau, con testi in inglese e influenze indie rock, sei approdato ad un cantautorato raffinato. E ’questo il tuo habitat o ti vedremo sconfinare ancora?

Questi brani cantautorali mi rappresentano e di certo sono “il mio posto”, ma non escludo di poter sperimentare ancora. Mi piace tantissimo il rock e “No Place to Hide”, composta molti anni fa, quando ancora scrivevo solo in inglese, ne è la prova. Un brano decisamente rock dalle tinte scure, apparentemente molto lontano da me che ho inciso solo molti anni dopo, con il mio produttore Nicola Albano. Fondamentalmente fantasia e libertà intellettuale fanno di me quel che sono, senza condizionamento alcuno.  Per rispondere alla tua domanda, sì sconfinerò ancora e lo spero vivamente, perché significherà che sono ancora libero di essere.

Riccardo Ometto

È la scrittura la tua vera passione?

Assolutamente, anche perché credo che vada di pari passo con la fantasia. Da sempre mi piace scrivere favole, racconti. La parola è stata l’origine di tutto. Ho sempre ascoltato tanta musica, e fin da bambino ho avuto passione per il canto. Ad affascinarmi erano i film della Disney, con colonne sonore bellissime che mi divertivo a interpretare. Una generazione la mia, che ha avuto a portata di mano mondi meravigliosi e tappeti su cui volare.

Quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua “regina”?

Andavo a sentire alcuni amici che suonavano, tra i quali c’era Alessio che ha poi fatto parte con me dei Monrau e forse la scintilla è scoccata proprio da quel momento. Con lui abbiamo formato un gruppo di cui faceva parte anche suo fratello, che è un batterista eccezionale. Dopo un po’ mio padre, che mi ha sempre supportato e seguito, ci ha spronati a “fare sul serio” e, grazie al suo amorevole consiglio, siamo andati in uno studio di registrazione a Vicenza, dove è cominciata l’avventura e dove abbiamo imparato tanto entrando, di fatto, nel mondo della musica. Devo essere grato a mio padre che per lavoro ha sempre girato il mondo, ma nonostante ciò, ha sempre trovato il modo di essere presente e fondamentale in ogni momento di questo mio percorso.

C’è una canzone, tra le tue, che ha un posto speciale per te?

Sì, più di una ma “Ciao Cherie” ha un posto speciale perché è la prima che mi ha fatto capire che, forse, quello era il mio mestiere. Un testo particolare e controverso, una lettera d’amore che nel girarne il video, mio padre – sempre lui – mi fece notare come non fosse, in realtà, lei a sparire, ma lui. Io avevo immaginato il contrario scrivendola, ma il bello delle canzoni è proprio questo che si animano e diventano realtà, in chi le ascolta. In questo brano le strofe sono in italiano e il ritornello in inglese che è stata per molto tempo la lingua che utilizzavo per i miei testi. Probabilmente questo mi faceva sentire più sicuro, “al riparo”. Con i testi in italiano si è aperta una pagina, di questo mio viaggio in musica, molto intimo. Una crescita personale e artistica che sto vivendo con la consapevolezza di essere pienamente me stesso e di amare profondamente il mio mestiere.

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