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La scaramanzia degli italiani: superstizioni che resistono al tempo

In Italia, la scaramanzia non è un semplice vezzo folkloristico: è un tratto distintivo della nostra identità culturale. È nei piccoli gesti, nei numeri ricorrenti, nei rituali che si tramandano di generazione in generazione. Basta osservare il modo in cui molti compilano la schedina del MillionDay, uno dei giochi più popolari in Italia. Le persone non scelgono numeri a caso, ma ricorrono sempre agli stessi, legati a compleanni, anniversari, date simboliche o sogni premonitori. Un comportamento che racconta molto più di un semplice desiderio di vincere: racconta il bisogno umano – e profondamente italiano – di affidarsi a qualcosa di simbolico per sentirsi più fortunati, protetti, vivi.

Toccare ferro, evitare il 17 e altri riti quotidiani

Il gesto più comune? Toccare ferro, quando si parla di qualcosa che si teme possa andare storto. Un’abitudine talmente diffusa che nessuno ci fa più caso, come incrociare le dita, evitare di passare sotto le scale o non posare il cappello sul letto, gesto che secondo la tradizione porterebbe male perché ricollegato all’estrema unzione.

E che dire del famigerato numero 17? In Italia viene evitato in ogni contesto: negli aerei manca la fila 17, negli hotel la camera 17. La sua sfortuna affonda le radici nell’antica Roma, dove il numero XVII, anagrammato, diventa “VIXI”, ovvero “ho vissuto”, una sorta di epitaffio che simboleggia la morte. In netta contrapposizione, il 13, che in molti Paesi è considerato infausto, da noi è spesso visto come un numero fortunato — forse perché legato alla schedina del Totocalcio, che con il suo “fare tredici” ha segnato l’immaginario di più generazioni.

La smorfia napoletana: quando i sogni diventano numeri

Tra gli aspetti più affascinanti della scaramanzia italiana c’è la Smorfia napoletana, un sistema simbolico che trasforma ogni elemento onirico in un numero. Sognare un bambino? È il 1. Il morto che parla? 48. Il caffè? 42. C’è chi tiene un taccuino accanto al letto per annotare i sogni e trasformarli in combinazioni da giocare al Lotto, seguendo una logica che mescola psicoanalisi popolare, cabala e tradizione orale.

E non si tratta solo di gioco: la smorfia è cultura, è linguaggio, è una chiave per decifrare emozioni e paure. Un modo per dare senso all’irrazionale e sentirsi in qualche modo protagonisti del proprio destino.

Superstizioni moderne: dagli esami agli stadi

La scaramanzia, però, non appartiene solo al passato. È viva e vegeta nella vita quotidiana. Gli studenti, ad esempio, evitano di lavarsi i capelli prima di un esame, convinti che porti sfortuna. I tifosi di calcio indossano la stessa maglia per ogni partita importante, rispettano posti fissi sul divano e rifiutano categoricamente di guardare la partita con “quel” cugino che porta male. E ancora: chi inizia un viaggio con il piede destro, chi non consegna mai un coltello direttamente in mano (meglio poggiarlo sul tavolo), chi butta sale dietro le spalle se ne rovescia un po’ sul tavolo. Gesti piccoli, a volte inconsci, ma carichi di significato.

Un filo invisibile tra scaramanzia e speranza

Cosa spinge milioni di persone a credere ancora nella sfortuna o nella buona sorte? Forse è proprio il bisogno di credere. In un mondo sempre più complesso, dove molte cose sfuggono al controllo, la scaramanzia offre l’illusione di poter influenzare il destino, anche solo un po’. È una forma di autodifesa emotiva, un conforto leggero, un abbraccio invisibile che ci accompagna quando il futuro è incerto.

E forse è per questo che, tra ironia e convinzione, molti italiani continueranno a tenere il cornetto in tasca, a contare i sogni e a scegliere sempre gli stessi numeri. Perché in fondo, come diceva Eduardo De Filippo, «essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male».

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