Esce in sala il 20 gennaio “Takeaway“, lungometraggio di Renzo Carbonera (“Resina” e il corto “La penna di Hemingway“) con Libero De Rienzo, Carlotta Antonelli, Primo Reggiani e con la partecipazione di Paolo Calabresi e Anna Ferruzzo. Prodotto da 39 FILMS e Interzone Pictures in collaborazione con Rai Cinema, distribuisce Fandango.
Reduce dal successo ad Alice nella città, “Takeaway” – che vede tra i protagonisti Libero De Rienzo, nella sua ultima interpretazione cinematografica – è stato girato in gran parte sul Monte Terminillo e fra Rieti e i suoi territori circostanti. Un impegno da parte della produzione per sostenere e riavviare l’economia locale, particolarmente colpita in questo lungo periodo di pandemia da Covid-19.
“Takeaway” è ambientato nel 2008, agli albori della grande crisi finanziaria globale. Maria (Carlotta Antonelli) è un’atleta, una marciatrice. L’orgoglio di papà (Paolo Calabresi) che vorrebbe vederla coronare un sogno di successo. La mamma (Anna Ferruzzo), invece, è più scettica, sebbene Johnny (Libero De Rienzo), compagno della ragazza che ha quasi il doppio dei suoi anni, sappia come tenere vivo il sogno di Maria e dei suoi genitori.
“Takeaway” si avvale della direzione della fotografia di Luca Coassin, del montaggio di Natalie Cristiani, delle musiche di Alexander Hacke, del suono in posa diretta del pluripremiato ai David di Donatello Carlo Missidenti, dei costumi di Stefano Giovani e della scenografia di Sara Stacchezzini.
“Questa è una storia di doping – sottolinea il regista – frutto della fantasia, che al suo interno contiene frammenti di moltissime storie, vere e documentate. Un tema delicato, poco trattato, spesso con i toni dello scandalo, demonizzando o minimizzando i risvolti, facendo anche entrambe le cose contemporaneamente. Il film intende focalizzare il dibattito su questo fenomeno con delicatezza e umanità, concentrandosi sui rapporti umani che ci stanno dietro, sulle storie e le motivazioni dei personaggi, che seguono uno schema spesso comune a molti atleti e giovani che si avvicinano allo sport, sulle origini e sui moventi, sugli effetti psicologici e fisici che ne conseguono”.
“Takeway” è un film che parla chiaro, che arriva subito al dunque senza girarci intorno. Lo fa con i pochi dialoghi, precisi e utili, con sguardi pesati e giusti, con un paesaggio che dice tutto, anche se immerso nella nebbia.
E’ una storia semplice, senza fronzoli, che lancia un grido: il mondo dello sport legato a quello del doping, che porta a sofferenze come quelle di Maria, che pur di continuare a sognare rinuncerebbero alla vita. Una società che ci vuole sempre primi, sempre “sul podio”, per una felicità che non è nostra spesso “ma degli altri”.
“Takeaway” non ci porta grandi giochi di riflessione. Molte cose, come i rapporti tossici e malati dei personaggi, ci lasciano per forza di cose un punto interrogativo. Non è quello che importa: quello che conta è quello che sentiamo addosso dopo, questo senso costante di fredda inettitudine.
E’ questo che uccide le cose: non lasciare che esse accadano, ma spingerci oltre quello che non possiamo, rimanendo feriti. Confondendo la verità con una realtà che non ci appartiene.